Per adesso se ne parla molto poco, ma dopo avere costituito una testa di ponte nella Sirte (che, speeriamo, l’Occidente cercherà di eliminare, con o senza il consenso dei libici) l’ISIS si appresta a passare all’offensiva in una regione ancora più delicata per noi. Concentrati come siamo sulla situazione in Medio Oriente, noi tendiamo troppo spesso a dimenticarci che sull’altra sponda dell’Adriatico, a un tiro di schioppo dalla nostre coste, ci sono ben tre Stati islamici, o almeno a maggioranza islamica: la Bosnia, il Kosovo e l’Albania. La prima attirò, durante la guerra civile seguita alla dissoluzione della Jugoslavia, un buon numero di jihadisti dal medio Oriente accorsi a difendere i loro correligionari e insediatisi poi in vari angolo del paese. Il secondo è uno Stato per modo di dire, neppure riconosciuto da tutti e governato da personaggi spesso legati alla criminalità. La terza, dopo più di mezzo secolo di ateismo imposto dal regime comunista, era fino a non molto tempo fa immune da infiltrazioni jihadiste, ma la rinascita delle moschee, e il loro controllo da parte dei salafiti, ha portato il cancro estremista anche qui. Si calcola che tra i foreign fighters che costituiscono l’ossatura dell’esercito del Califfato si contino 250 bosniaci, 150 albanesi e ben 300 kosovari.

L’offensiva dell’ISIS verso i tre Paesi è cominciata nel maggio scorso, con un molto diffuso video intitolato: “L’onore sta nella Jihad: un messaggio per il popolo dei Balcani. E’ pieno di accuse verso l’Occidente e in particolare verso l’Europa e rievoca, in termini il più crudi possibili, gli orrori della guerra condotta dai Serbi contro i musulmani di Bosnia, con l’evidente obbiettivo di risvegliare vecchi odi e rancori. Per ora, l’ISIS non ha certo il seguito necessario per ripetere una operazione di conquista territoriale, come ha fatto in Mesopotamia e in Libia, ma se anche il suo obbiettivo fosse limitato a costituire delle basi logistiche, utili a compiere attentati in giro per il continente come quelli di Parigi (o quelli pronosticati dall’Europol lunedì durante la riunione dei ministri degli Interni europei. I Balcani “musulmani” potrebbero cioè diventare un prezioso snodo per l’invio di armi, per il trasferimento di militanti ed eventualmente anche per l’addestramento di aspiranti kamikaze europei. Sono già stati segnalati acquisti di terreni – non si sa con quali soldi – da parte di imam radicali, preferibilmente non lontano dai confini della Croazia, paese membro della UE.

L’ipotesi di una testa di ponte balcanica è stata corroborata anche da alcuni recenti fatti di cronaca, come quando all’inizio di dicembre quattro cittadini kosovari sono stati arrestati nel bresciano in un’operazione antiterrorismo concordata tra Roma e Pristina. La polizia kosovara ha anche già arrestato alcuni cosiddetti 2jihadisti di ritorno”, gente che dopo avere combattuto ed essersi addestrata in Siria rientra in Europa presumibilmente per preparare attentati.

Tutto può essere contenuto se le polizie di Sarajevo, Pristina e Tirana (tra cui militano certamente anche agenti musulmani) fanno appieno il loro dovere e collaborano con noi, ma se l’ISIS riuscisse a procurarsi nelle tre capitali importati complicità sarebbero guai. Comunque, può comprarsi degli alleati tra i potenti boss della malavita locale.

Comunque evolvano le cose, è bene prepararci all’apertura di questo nuovo fronte, che certo non faciliterà la marcia di avvicinamento dei tre Paesi verso la UE, e incoraggerà se mai la costruzione, nella complicata geografia balcanica, di nuove barriere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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