Appena usciti i risultati elettorali in Francia a certificare il trionfo del Front National come primo partito d’oltralpe, le reazioni a sinistra, o per meglio dire dei falsi socialisti italici e francesi, sono state assolutamente degne di menzione. Dalle solite litanie sul ritorno del fascismo passando dal voto dettato dalla paura e dall’ignoranza, si finisce con l’unico, possibile sbocco che la sinistra continentale pare saper dare al proprio corso politico, ovvero il rifugiarsi in un conservatorismo tanto bieco quanto ipocrita, tramite una alleanza fattuale con la destra moderata.
Il preannunciato ritiro dei socialisti nei prossimi ballottaggi per non intralciare i candidati di Sarkozy è diventato realtà, così come conclamata è ormai la natura sostanzialmente antidemocratica del progressismo europeo, sempre schiacciato tra un elogio artificiale di una presunta democrazia e una sua pronta smentita nei fatti, quando a vincere sono idee diverse, non schiacciate su di una propaganda bolsa e accentratrice ma su di una sincera volontà di cambiamento.

Il punto nodale è proprio il cambiamento. I francesi con il voto di domenica hanno voluto rimarcare ancora una volta il loro desiderio di autonomia da un europeismo diventato ormai uno specchietto per le allodole, utile a chi dalla sua scrivania di Bruxelles o dall’europarlamento vuole continuare in una stasi mortifera. Una stasi che vede l’Unione Europea come una mera organizzazione di burocrati, impegnati a rilanciare politiche economiche discutibili all’interno e una soggiacenza senza freni agli Stati Uniti e alla Nato per quel che riguarda la politica estera.

Con un sapiente mix di posizioni rinnovatrici, di istanze popolari e abilità dialettica Marine Le Pen si pone come la principale forza antisistemica del panorama francese, con voti realmente trasversali, capace di attirare consensi anche in quello che dovrebbe essere il serbatoio naturale della sinistra: i disoccupati, i giovani senza prospettive, gli artigiani e i poveri. Un esperimento riuscito nel quale si innestano le critiche di maggior successo che possono essere mosse al carrozzone UE, ovvero l’assenza di autonomia decisionale, il carattere fortemente anti popolare delle sue istituzioni e l’incapacità nel diventare un ente sovranazionale gradito e condiviso anche dai ceti più umili della società europea.

La sinistra, al posto di farsi interprete di questi disagi e di provare a vedere quali sono i (molti) demeriti che hanno portato gran parte dei francesi a votare per un partito di questo genere, si arrocca in una mera conservazione condita da slogan preconfezionati, dalla chiamata al “voto antifascista” passando per la difesa dello “stato di diritto”, che probabilmente è lo stesso che finora ha causato esodi biblici di popolazioni dal Medio Oriente, volendo esportare la propria concezione di libertà in terre dove non era e non è desiderata.

Una sinistra capace di addebitare alla Le Pen presunti vantaggi elettorali portati in dote dagli attentati di Parigi, nei cui quartieri in realtà ha pure vinto la sinistra hollandiana, come è ormai da corollario per ogni zona benestante, dove al contrario delle Banlieue ci si può ancora permettere di credere in una raffazzonata idea di accoglienza, che al massimo può fare contento un Gad Lerner ma non certo un cittadino medio interessato al proprio futuro, già piuttosto incerto.

Questa sinistra, in ultima istanza non può che raccogliere il frutto di anni di compromessi e di sostituzioni, posizioni inscindibili da un divenire storico che l’hanno vista sempre più garante degli equilibri di potere e sempre meno forza rivendicatrice. Il tutto in un abbondante fiorire di partiti che, a dispetto dei nomi roboanti, di socialista hanno poco o nulla, e che quando debbono salvare la poltrona propria e gli interessi altrui, non si fanno problemi ad allearsi con politici falsamente presentati come nemici naturali.

Tutto ciò, manco a dirlo, con ampio dosaggio di antifascismo, divenuto anche grazie ad un elettorato cresciuto nella più trinariciuta delle tradizioni, un mero simulacro di paure e fantasmi da agitare in faccia ogni qualvolta si presenti la possibilità di cambiare le carte in tavola nelle stanze del potere, pure in presenza di una alternativa rappresentata da partiti che di fascista non hanno nulla, al pari di moltissimi progetti politici che dal ’45 in poi si sono visti affibbiare l’etichetta del fascismo, in genere quando le loro posizioni e le loro dimensioni iniziavano a divenire realmente pericolose per i ceti dominanti.

La verità è che in Francia così come in Italia e in gran parte dell’Europa, la sinistra liberal è solamente l’altra faccia della destra europeista e liberale, capace di attirare grandi consensi solamente accentrando i propri riferimenti politici e sacrificando all’altare dell’europeismo categorico e imperativo per tutti qualsiasi volontà di cambiamento.

Dalla puerile marcia del post Charlie-Hebdo alle dichiarazioni seguenti agli attentati di Parigi, Francois Hollande è il perfetto ritratto del politico di sinistra occidentale. Stretto nella sua giacca, impettito, quasi a perfetta rappresentazione di quel “tiranno da operetta” di cui parlava Cioran, si finge dispiaciuto da una situazione geopolitica che ha contribuito a creare assieme ai fidi amiconi della destra di Sarko’. Dopo anni di sanzioni e guerra diplomatica con la Russia, ha l’ardire di chiedere l’aiuto di Putin per combattere il terrorismo islamico. Dopo anni di destabilizzazioni in casa d’altri, ha il coraggio di chiedere credibilità ad un popolo che l’ha chiaramente scaricato.

Unica alternativa rimastagli, il patto scellerato, che altro non è se non il ruggito del topo di una classe dirigente, specialmente di sinistra, mai così lontana dalle sue origini e da quello che dovrebbe essere il suo elettorato di riferimento.

(di Alessandro Catto)

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