“Putin? Lei crede che il nostro paese sia così innocente?” Una ammissione onesta, sincera, pure aspettata e francamente apprezzabile quella che Donald Trump, in una intervista a Fox News, ha rivelato agli ascoltatori.

Una frase che fa da contorno ad una elezione presidenziale capace di rompere con gli antichi schemi, con quell’idea di mondo imbellettato e in continuo progresso, impostato sui canoni liberal di qualche democratico newyorkese, di qualche ONG o fondazione, sui sorrisi tirati di Hillary Clinton, su quel puzzo di progressismo radical respirabile ad ogni convention elettorale di partito, con la pretesa di incarnare sempre la parte giusta di un paese, le energie migliori e gli spiriti migliori.

In verità tra il nugolo di contestatori antitrumpiani troviamo la versione millennial e strillante della deriva ideologica sopra menzionata, persone pronte a schierarsi contro il muslimban bollandolo come razzista, fascista o chissà quale altro termine preso in prestito dal vocabolario del pensiero unico, ma incapaci di fare autocritica e vedere quanti di loro hanno alzato la voce contro le operazioni belliche di casa democratica, contro le compromissioni e le amicizie della cara Hillary, incapaci in ultima istanza di analizzare le cause che hanno portato ad una decisione così drastica, così come le cause che hanno spinto milioni di siriani ed iracheni lontano dalle loro case.

A fare da contraltare abbiamo invece una ammissione di colpa, quella di The Donald a FoxNews, che seppur implicita rappresenta già un immenso passo avanti rispetto alla tracotanza con la quale un John Kerry o un Barack Obama silenziavano qualsiasi responsabilità negli scenari bellici in cui gli USA sono impegnati, o riguardo le continue destabilizzazioni politiche dell’areale mediterraneo e mediorientale. Una politica aggressiva scientemente nascosta dietro la patina dei diritti umani, dell’esportazione di democrazia, di civiltà e di progresso. Una politica criminale nei fatti e nei modi, dietro alla quale si sono schierati quasi tutti i progressisti di casa nostra, nonché un’Europa priva di una guida politica capace di rispecchiarne gli interessi.

Trump per primo toglie il velo da questa spensierata idea di innocenza aleggiante sulla nazione guida della globalizzazione sociale ed economica, riscoprendosi ancora una volta l’unico bastione possibile contro la prepotenza di una classe politica incapace di autocritica, tremendamente violenta, incapace d’ascolto e mediazione, fondamentalmente antidemocratica nel suo continuo non accettare esiti elettorali diversi da quelli auspicati.

Una frase come quella di Trump, se pronunciata da un Obama qualsiasi, sarebbe stata degna di aperture di telegiornali, di encomianti editoriali, forse di un secondo Nobel per la pace. Detta da Trump diventa subito l’ennesima uscita a vuoto, la sparata, in un coro mediatico prezzolato e mai seriamente interessato alla cooperazione internazionale e alla distensione, che fa ogni volta vergognare del suo infimo livello e del suo considerarsi libero, democratico o indipendente.

Contro tutto ciò, un presidente capace di attirarsi l’odio di progressisti di varia risma, democratici, antifascisti, anticomunisti, di mezza fazione storica del proprio partito (anche lui corresponsabile dei disastri geopolitici degli ultimi vent’anni), inviso alle lobby finanziarie, ai globalisti di piccolo, medio e grande cabotaggio merita di venir supportato con tutte le nostre forze. Se non per i suoi meriti, almeno per la capacità di attirarsi contro il peggio del peggio del mondo contemporaneo.

Alessandro Catto

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