Dopo le primarie leghiste quel che salta all’occhio è il buon successo in termini numerici ottenuto da Matteo Salvini. Successo mai in discussione, sia ben chiaro, ma ottenuto comunque in un clima di malcontento della minoranza bossiana, passibile di sfociare pure in una scissione che ad oggi non va per nulla esclusa.

Quello che è interessante commentare sono le dichiarazioni d’intenti del segretario leghista il giorno dopo il voto. Un messaggio ai possibili alleati del centrodestra, in cui si dice chiaramente di non voler avere nulla a che fare con Angelino Alfano e compagnia. Una uscita in direzione di Forza Italia, che vorrebbe essere una dichiarazione di potenza ma rischia di divenire più che altro la certificazione del guado programmatico in cui versa il partito di Via Bellerio.

Eh sì, perché questo partito, ad oggi, non ha ancora deciso se essere carne o pesce. Non è un partito lepenista capace di camminare con le proprie gambe, in primis per l’incapacità di strutturare un programma chiaro in tal senso, in grado di lanciare il partito oltre la soglia psicologica del 16% dei consensi.

Non è nemmeno un partito di centrodestra, capace di giocarsi le carte sul presente con una tattica, pur se rinunciataria, capace di proiettare il partito come una forza coagulante nello schieramento, che per vincere, va detto, ha bisogno di unire, non di dividere. Ha quindi bisogno pure di Alfano, paradossalmente, perché voti ne vanno presi, non ne vanno persi, visto che ad oggi c’è da rincorrere chi ha di più, non certo da aspettare o disperdere preferenze. Specialmente in vista di una alleanza di governo, che si giocherebbe comunque sul piano della moderazione delle istanze fin qui proposte dal partito padano.

Insomma, bisogna capire cosa si vuol fare da grandi. Se si sceglie di fare i lepenisti, bisogna farlo fino in fondo, e non servirà solamente rinunciare all’accordo con Alfano, ma pure a quello con Berlusconi, con un lavoro duro e sodo di innovazione politica e ricerca di temi forti. Un lavoro plurimensile e probabilmente pluriennale, da basarsi non sull’immediato consenso ma sulla creazione di un partito capace di raccogliere pure ampi frutti, ma solo tra qualche stagione, dopo abbondante pazienza e capacità.

Se si sceglie la strada del centrodestra non ha senso fare gli schizzinosi con Alfano per abbracciare Berlusconi. Se si vuole scegliere l’alleanza per giocarsi le proprie carte alle prossime elezioni, meglio creare un soggetto capace di federare tutto il centrodestra con un programma di governo chiaro, condiviso e capace di puntare sul pragmatismo, con un candidato premier condiviso da tutti (Zaia?) tentando un successo elettorale nell’immediato.

La sensazione è che questa scelta non sia stata fatta e che il partito viva ancora in un guado poco fruttifero e pericoloso. Prima arriverà la risposta, prima la Lega sarà capace di diventare grande ed evitare pure malcontenti e malpancismi interni. Figli anche di una scarsa capacità nel definire orizzonti e obiettivi.

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