Etimologicamente democrazia significa governo del popolo, nonché la possibilità, per lo stesso, di potersi esprimere e poter tutelare i propri interessi. Un sistema con i suoi pro ed i suoi contro, ma che per essere definibile come tale deve rispettare questa definizione.

Mai come in questo scorcio di ventunesimo secolo tuttavia vediamo il termine in questione venir strumentalizzato, divenire ostaggio di chi vuol distorcerlo definendo la democrazia solamente come il trionfo delle proprie istanze, spesso considerate corrette in maniera aprioristica, uniche degne di considerazione, uniche capaci di gravitare nel rassicurante cortiletto della ragione, al di fuori del quale al trionfare vi sarebbe una indistinta massa di fascismo, populismo e razzismo, anche quando le opinioni espresse sono tra le più ragionevoli e moderate.

Un ambito nel quale questa prassi diventa più evidente che mai è quello dell’immigrazione, con una platea di benpensanti sempre pronta a negare le evidenze, a far credere che sia possibile far svernare in Italia centinaia e centinaia di migliaia di immigrati in una sorta di anarchia della politica, nella quale il cittadino perde la propria possibilità di diniego e in cui lo Stato, anche per mano delle sue forze dell’ordine, quasi non può più far valere la legalità, nemmeno quando questa è messa in dubbio da quotidiani episodi di degrado, soprusi, violenze ed occupazioni.

In questa cornice orwelliana, vorrei rivolgere un accorato appello a chi in queste ore sta dando il via ad una feroce opera di delegittimazione nei confronti della politica degli sgomberi e nei confronti dell’operato delle forze dell’ordine, ree di essersi difese da violenze e attacchi ingiustificabili.

Vorrei dire ai soloni dell’accoglienza, al clero politicamente corretto e ai parroci del buonismo che al posto che in lussuosi attici in zone centrali delle metropoli più chic, protette viuzze, salotti della Roma perbene o della Milano degli aperitivi, per una volta mi piacerebbe vederli abitare in qualche periferia cittadina, androne multietnico, zona popolare in preda al degrado e alle peggiori conseguenze di una politica migratoria di questa portata.

Ma non mi piacerebbe vederli in qualità di facili comparse, muniti del solito sorriso da catechesi permanente, stretti in giacche eleganti e scarpe d’ordinanza, per poi far ritorno a casa nel comfort e nella protezione. Mi piacerebbe vederli vivere tutti i giorni, lavorare, fare le più intime e quotidiane mansioni nel degrado che affolla decine e decine di periferie italiane, mi piacerebbe vederli nei reparti di polizia a contrastare la microcriminalità dei sobborghi.

Mi piacerebbe vedere come reagirebbero, avendocelo non davanti, ma dentro, questo vuoto di ingiustificabile anarchia. Mi piacerebbe vederli mediare con questo tipo di problematiche con la sicumera palesata oggi, con la solita, moderata e calibrata prassi da benestanti francescani per hobby, che scommetto durerebbe lo spazio di due pomeriggi.

Di fronte a tanta ipocrisia, non vi può che essere un pieno supporto alla politica degli sgomberi, al ripristino della legalità nelle periferie e ad una politica migratoria degna di un paese civile, ovvero di un paese dotato ancora di qualche legge, di qualche architettura comune e di un senso per i propri cittadini e per il proprio popolo, che di queste nenie per accoglienti da salotto si è stancato da tempo.

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