Il referendum catalano è un’occasione da sfruttare per ribadire la necessità di premiare le identità, le autonomie e le diversità presenti sul suolo del Vecchio Continente, che sono una risorsa e non un problema da reprimere, specialmente in tempo di globalizzazione.

Non ha senso schierarsi contro questo referendum per la caratterizzazione politica che l’indipendentismo catalano ha assunto negli anni. Il suo europeismo e il suo orientamento progressista non devono essere un problema o una priorità. La priorità è ribadire il diritto dei popoli ad autogovernarsi e il diritto degli stessi a dotarsi di strutture amministrative più vicine, più efficienti e capaci di far fronte alle problematiche della globalizzazione. Gli stati centralisti non lo sanno più fare, e in tal senso sorprende chi nel dibattito politico imperante ancora non se ne è accorto.

A sinistra, in Occidente, abbiamo schieramenti politici capaci via via di rinunciare a qualsiasi tipo di lotta per l’autodeterminazione, per l’autogoverno e per le necessità dei popoli, con istanze schiacciate tra statalismo distorto, assistenzialismo, feticismo costituzionale, sindrome da perennialità dei confini e conservatorismo sociale, in un declino dei temi rivendicativi per cui un Guevara, un Marx o un Lenin sarebbero capaci di rivoltarsi nella tomba.

A destra c’è ancora chi conserva la pretesa che contenitori statali di stampo centralista possano offrire un guado alle ingerenze straniere e agli imperialismi, a mo’ di baluardo di sovranità, quando la storia recente ci dimostra che invece gli stati europei hanno spesso subito il peso delle decisioni extranazionali altrui e non sono stati assolutamente in grado di arginare i fenomeni più deleteri della globalizzazione, quali la perdita di sovranità e il conseguente melting pot economico, umano e sociale scatenato da essa, in un’Europa i cui confini (con l’eccezione dei Balcani) sono rimasti gli stessi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Un percorso, anzi, di progressiva unificazione a cui va sommata pure l’unificazione nazionale tedesca, accentramento che non ha tuttavia impedito il progressivo scivolamento in un ambito di assenza di autonomia e di forza politica.

Che senso ha pretendere che un popolo resti attaccato con la colla ad un altro? Che senso ha proseguire sulla strada delle unioni forzate? Che senso ha credere che i confini e le nazioni di oggi siano immodificabili, quando anche la storia è lì a dimostrarci tutt’altro, in un periodo nel quale il ritorno alle identità, alle piccole patrie e alla forza dei territori può essere una via d’uscita all’imperante retorica dell’indistinto?

Valutiamo le opportunità di questo referendum, le opportunità di tornare a parlare di governo e territorio, di Europa dei popoli, di identità, diritti e diversità ben riconosciuti. Come europei avremo solo di che guadagnarne.

VIDEO:

Ti è piaciuto l’articolo? Seguimi anche su YouTubeTwitter e sulla mia pagina Facebook

Tag: , , , ,