Nella giornata di ieri si ricordava l’anniversario della morte di Che Guevara e proprio nel 2017 ricorre il centenario della rivoluzione d’ottobre. Un periodo storico pregno di appuntamenti, insomma, per la storia e la tradizione del pensiero socialista novecentesco, se non fosse che di questi appuntamenti, a quelli che ne dovrebbero essere gli eredi, resta solamente un ricordo vago e confuso, fatto più di forma che di sostanza.

Preferiamo allora far emergere un paradosso, capace di stupire un po’ meno chi, tra le metamorfosi ideologiche e i cambi di casacca della sinistra è abituato a veder lungo, sia per masochismo che per interesse oseremmo dire scientifico.

Accantonato certo anticomunismo inutile e fuori tempo massimo, ciò che razionalmente ci resta tra le mani sfruculiando tra gli eredi del socialismo novecentesco, è infatti una platea di liberal che oggi, senza particolari problemi, saluterebbero con diffidenza oppure con aperta ostilità la figura storica di un Guevara o di un Lenin qualsiasi.

Quanto sarebbe facile immaginarsi un qualsiasi esponente del centrosinistra lanciarsi in encicliche contro il pericoloso populista argentino, reo di spargere nel continente sudamericano un pericoloso e demagogico fraintendimento della democrazia rappresentativa, sempre in bilico tra un pericoloso sovranismo e un nazionalismo che “soffia sulle paure” del popolino ignorante e retrivo?

Quanto è facile immaginarsi un esponente del petaloso progressismo nostrano lanciarsi in dichiarazioni di diffidenza verso la presa del palazzo d’inverno, tacciata anch’essa di populismo, così lontana da quel medio-progressismo di stampo fantozziano divenuto ormai verbo unico vigente per una intera classe politica, che al riscatto delle masse subalterne ha preferito una continua lode all’impalcatura europeista, globalista e affine agli interessi dei ceti dominanti?

Quanto è facile immaginarsi un occhialuto esponente delle attuali giovanili progressiste con una bandiera europea in mano esporsi contro il “fascismo” dei governi socialisti d’oltrecortina, lamentando mancanza di spirito europeo, di libertà e di qualche apericena vegano?

Un mutamento di cui bisogna rendersi conto e che è altrettanto stupido continuare a contrastare con un anticomunismo vuoto e incapace di inquadrare bene ciò che oggi è la sinistra, qual è oggi il suo brodo di coltura, il suo pantheon e soprattutto il suo obiettivo, come abbiamo fatto del resto anche nel nostro libro.

In questo residuo storico di sinistra non vi è nessuna coscienza di classe, nessuna lotta per il trionfo delle istanze proletarie, solo conservazione nell’alveo di un progresso, rigorosamente globalizzato, dipinto come unica meta e unico orizzonte possibile, senza confini, senza identità, senza muri, senza controlli di sorta. Con buona pace di qualsiasi “patria o muerte”, muro di Berlino o altro eco di battaglie lontane ed ideali dimenticati.

Anche per questo, è bene dedicare un pensiero a chi nella giornata di ieri ci teneva a ricordare la figura di Guevara o puntualmente, magari con la giacca e la cravatta del partito e il manifesto di Ventotene sottobraccio, ci terrà a ricordare (se ancora avrà l’ardore di farlo) l’anniversario della rivoluzione d’ottobre, salvo non rendersi conto di rappresentare, in versione odierna e politicamente corretta, tutte le ipocrisie e il sistema di potere contro cui lo stesso Guevara e lo stesso socialismo novecentesco si è via via esposto.

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