Alza lo sguardo dal cellulare e mi pianta gli occhi addosso. Mi sento nell’angolo, con lo  spazio che si stringe come dentro un bel golfino di cachemire appena uscito da un lavaggio sbagliato.

“Ma-sai- quante-ore-di-utilizzo-mi-dà?”. L’adolescente in pigiama h24 sorride e scandisce le parole bene bene. Aspetta una risposta.  Vorrei gridare no, che non lo voglio sapere, per favore per favore non me lo dire. Ma non grido. Più che altro per i vicini.

E non dico neanche niente perchè tutti gli psicologi hanno detto e ripetuto di cercare di allentare le inevitabili  tensioni da convivenza forzata facendo finta  di non sentire. A volte.  Questa è una di quelle.  Quindi mi tappo le orecchie. Pure quello virtualmente, come tutto il resto di questi tempi. Perchè me lo dirà, eccome se me lo dirà, non vede l’ora

Come biasimarla d’altronde? È  la sua rivincita. La loro rivincita. La rivincita degli sdraiati. Mi rivedo girare come una matta per casa e anche fuori via telefono.  “Smetti di usare quel cellulare” “non puoi stare così tanto davanti alla playyyy” metti via il computer, tecnologia sempre tecnologia, basta,  ti rimbambirai, ma esci no? non vedi che c’è il sole? vai a correre, una passeggiata che so porta fuori il cane almeno quello!  Vabbè sai che c’è? Allora porti giù la spazzatura…
Voci corali di genitori a qualunque latitudine d’un tratto zittite. C’è il virus. Il coronavirus che si è insinuato nelle nostre vite. E se anche siamo sani, o portatori sani o chi può dirlo, questo bastardo con la corona dietro si è portato anche una miriade di valletti. Niente di biologico per carità, per questa corte del re che si è un po’ impadronita di noi tutti. Si è intrufolata nelle nostre case, tra le nostre 4 mura di gente che rispetta le regole,  che si è spartita la casa per le videochat, le videolezioni, lo smartwork, la smartschool, la ginnastica e ha ribaltato il ribaltabile.

Gli sdraiati sono stanchi di sdraiarsi.Vogliono uscire. Portare fuori il cane. Almeno scendere per la spazzatura. Sono stufi del cellulare, di guardare la tv, del computer. Vogliono tornare a scuola. Cioè dico: vogliono-andare-a-scuola. Gli mancano persino i prof e non siamo alle elementari dove la maestra ti manca quasi come la mamma se non la vedi per due giorni.

È la loro rivincita. Il cellulare è diventato l’àncora di salvataggio di un mondo capovolto dove ci si litiga il WiFi come i centimetri quadrati. Il cellulare ti porta fuori, ti fa vedere gli amici, la fidanzatina, ti fa chattare con i compagni mentre la prof parla parla parla parla

E il resoconto del tempo trascorso on line che diligentemente ti viene riportato non conta più un bel niente. Perché otto-due ci sono le lezioni eppoi il rientro al mercoledì dalle due alle quattro. Eppoi vuoi non distrarti un po’ alla play, dopo oddio sono  all’ultima puntata di Elite, alle 18 aperivirus e houseparty…

Ogni tanto azzardo… ehi  ma non potremmo fare che so un bel gioco di società, riguardare i filmini di quando eravate piccoli?

“Mamma” (mi incolla nell’angolo, sempre quello del golfino di cachemire, l’adolescente), “ma sei sempre al computer  pure tu, no?”

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