Sorpresa: ora i primi a essere preoccupati non sono i genitori. Sono proprio loro. I ragazzi. Anzi, peggio, pure i bambini tra gli 8 e gli 11 anni lasciati da soli a navigare nel mare magnum della rete. Si guardano intorno e vedono minacciata la propria privacy. Conoscono almeno un coetaneo che è stato vittima di cyberbullismo e almeno un loro amico guarda video con contenuti pornografici. Sanno di camminare in un mondo virtuale dove tutto può succedere senza avere alcuna garanzia di controlli da parte di nessuno. E ora ammettono di averne paura.

I dati

Per il 40% dei ragazzi il web rappresenta un luogo di minaccia e quasi il 40% ha paura del cyberbullismo. Il 26% degli adolescenti tra i rischi di internet teme di incontrare notizie false (fake news), soprattutto in ambito salute visto che nel 21% dei casi vengono diffuse notizie diverse e discordanti in merito allo stesso tema, oppure informazioni che poi si rivelano false o inutilmente “terrorizzanti”.  Un terzo degli adolescenti acquista giochi online e dedica al web più di due ore al giorno, tra utilizzo della rete e gaming; nella fascia di età tra gli 8 e gli 11 anni lo fa oltre il 20%.  Inoltre i bambini sono molto impauriti dall’ipotesi di leggere frasi volgari o violente, lo dice chiaro addirittura il 32%.

Sei adolescenti su 10 hanno avuto esperienze negative mentre postavano sui loro social preferiti da facebook, a instagram e snapchat filmati live, i cosiddetti “streaming live”.

Sono i dati della ricerca realizzata da DoxaKids per telefono Azzurro sull’utilizzo della rete da parte di bambini e adolescenti (tra gli 8 e i 18 anni) e presentata a Milano in vista del Safer Internet Day, la giornata internazionale di sensibilizzazione sui rischi legati al web, istituita dall’Unione Europa nel 2004.

Gaming, denaro, sessualità, ricerca di informazioni, contenuti personali, violenza e prevaricazione, contenuti lesivi/inadeguati veicolati attraverso lo streaming, il live e le stories. Si scopre che un terzo degli adolescenti acquista giochi online. Da solo. Senza alcun controllo da parte di un adulto. Un adolescente su tre dedica al web più di due ore al giorno, tra utilizzo della rete e gaming; nella fascia 8-11 anni lo fa oltre il 20%. Inoltre il 32% dei bambini sono molto impauriti dall’ipotesi di leggere frasi volgari o violente.

Però solo il 5 per cento dei bambini tra gli 8 e gli 11 anni e il 10 per cento di quelli più grandi (fino a 18 anni) pensa che di poter rovinare la propria reputazione sul web.

Ernesto Caffo, presidente di SOS Telefono Azzurro, docente di neuropsichiatra infantile alle Università di Modena e Reggio Emilia  ha sottolineato: “Oggi il nostro impegno, unitamente a istituzioni, governi, aziende e società civile, dovrà essere non un impedimento alla vita “social” al contrario un’adeguata e precisa programmazione di azioni intente a rafforzare la sicurezza in rete, perché tutto possa essere usato e usufruito correttamente.”

Cosa fare, quindi?

Ieri con un evento a Palazzo Marino dove hanno partecipato istituzioni e ragazzi è stata siglata la Carta di_MILANO (cliccando sopra la potete leggere integralmente). In sintesi, un decalogo di raccomandazioni che impegnano le aziende alla collaborazione e all’attenzione per lo sviluppo di un Internet a misura di bambini e di adolescenti.

Non solo. L’associazione Cuore e Parole onlus , dal 2004 impegnata in progetti di prevenzione del disagio giovanile, proprio in questa giornata del Safe Internet Day ha presentato un Social code, sei punti in cui sono condensate le buone pratiche della comunicazione digitale e sarà a disposizione anche delle scuole. “Un mondo migliore è possibile: anche su Internet” è lo slogan che ha portato al Piccolo teatro Strehler  dove si sono confrontati anche qui ragazzi (oltre 900) e rappresentanti del mondo della legge, della medicina e della psicologia.

Ieri, durante l’incontro, un ragazzino presente tra il pubblico ha inviato un messaggio di aiuto sul cellulare di una delle responsabili dell’associazione dicendo di essere vittima di bullismo da 8 anni e di aver pensato al suicidio. Alla fine della giornata di richieste così se ne
conteranno una decina (non tutte uguali per gravità)

Che fare, dunque? Ne abbiamo parlato con loro: il presidente di telefono Azzurro, Ernesto Caffo e Paola Brodoloni, fondatrice dell’associazione Cuore e Parole onlus. 

Prof Caffo, nel concreto, da subito cosa dovrebbe essere fatto?
“La verifica dell’età. In Inghilterra ad esempio è già stato fatto. Questo permette di individuare gli adulti che entrano nel mondo dei bambini. Per le aziende proteggere le fasce più deboli è fondamentale. Dobbiamo riconoscere i bambini perchè possano avere uno spazio a loro misura. Gli investimenti delle aziende sono stati molto marginali, fino ad ora. Basterebbe spostare una parte di investimenti verso la sicurezza. Identificare bambini che hanno accesso permetterebbe di non avere più immagini tossiche nella loro rete. Gli stati poi devono poter costruire alleanze con le aziende per governare il sistema. I genitori poi non conoscono questi mezzi. Se ne stanno occupando negli ultimi anni, ma si rendono conto che possono fare poco. Per i bambini è la loro pelle. E a poco serve la minaccia “ti tolgo il cellulare, ti tolgo il wi fi”. I ragazzi vanno dagli amici, nelle zone di wifi libero. Un genitore da solo non ce la può fare. La sfida è globale. In Africa hanno lo smartphone come qui in Italia. I minori che sbarcano sulle nostre coste hanno il cellulare. E’ una società che deve muoversi. E le grandi aziende possono come Google, facebook, Amazon, Alibaba e Microsoft possono fare molto…”
Qual è il dato che l’ha maggiormente colpita nella ricerca?
“Quello che riguarda l’area del gioco. Un ragazzo su 2 acquista un gioco su internet. C’è ormai un’ adultizzazione dei processi che non doveva avvenire cosi presto. Anche nella gestione dei soldi in rete.  L’acquisto on line di colpo è diventato un elemento comune e scontato”.
I genitori cosa devono fare?
“Innanzitutto formarsi per conoscere gli strumenti utilizzati giornalmente dai loro figli. Sul nostro sito ci sono documenti che possono essere scaricati ad esempio. Devono sapere che non è solo in  casa che devono essere educatori ma anche nella rete perché lì i loro figli ci stanno di più.
– Poi essere di supporto anche critico, con atteggiamenti positivi. Devono conoscere per evitare. Non sanzionare quello che non si conosce. Anche insieme ad altre famiglie. La rete può e deve essere uno spazio di vita comune in cui la famiglia si ritrova. I nonni posso stare a fianco dei ragazzi e i ragazzi possono aiutare i nonni per aiutarli a comunicare in contesti lontani.
–   I genitori devono controllare ogni pagamento che viene fatto, con un messaggio di avviso su chi ha usato quella carta e in quale modo.
–   Attrezzarsi per utilizzare strumenti insieme. Tra il non far nulla  e il bloccare tutto bisogna trovare via di mezzo”.

Cosa pensa dell’utilizzo degli smartphone a scuola?
“E’ una scelta opportuna, perché ormai fa parte della vita dei ragazzi. Dobbiamo trovare delle regole precise in classe come anche in casa. Non è con i divieti che si cambiano le cose. E’ uno strumento che va usato con responsabilità da parte di tutti. A partire da noi adulti. Quante volte vediamo chattare a tavola anche chi non è più un ragazzo? La  tecnologia è diventata pervasiva, per noi ma soprattutto per i bambini. Noi d’altronde siamo cresciuti con una formazione che ci ha permesso di vivere un modo diretto il rapporto con l’altro, con abbracci, contatti visivi, capacità di dare senso a chi si ha di fronte. Oggi l’altro scompare. Appare solo attraverso delle proiezioni sui social”.

Quali sono i rischi?
“Da una parte i ragazzi si sentono onnipotenti. Possono  vedere attraverso qualsiasi cosa attraverso Youtube. hanno un contatto apparente con quello che li circonda. In realtà è un mondo che si confonde nella loro mente: il virtuale con il reale. Ad esempio i giochi on line diventano quasi una realtà viva, perché sono così cosi realistici. Pensi a tutti quegli apparecchi che si mettono in testa per immergersi sempre di più nel gioco… E invece le loro capacità cognitive non sono ancora in grado di percepire la differenza…”

Ci spieghi meglio.
“I bambini, specie quelli più piccoli, fanno fatica a comprendere certi passaggi. Ad esempio, le immagini pornografiche che vedono troppo precocemente:  come sono in grado di  processare le emozioni? Quelle immagini provocano  delle conseguenze perchè il cervello deve ancora maturare… il processo cognitivo richiede tempo, supporto dei genitori. Oggi i materiali sono accessibili a tutti, immediatamente. Ma i bambini non hanno la capacità ancora di capace di elaborare questi messaggi. Anche perchè spesso sono da soli. Gli adulti hanno misure di protezione sia nella persona che nei contesti. Per i bimbi non c’è”.

Quindi, sarebbero i ragazzi stessi che chiedono misure da attivare?.
“Lo vediamo ogni giorno attraverso le nostre chat, il loro strumento di comunicazione preferito perché questo permette di parlare anche di cose personali in modo meno impegnativo. Sono preoccupati perchè si rendono conto che questo non è più un gioco, ma è parte della loro vita. Dalla mattina quando si alzano a quando vanno a letto lo smartphone è il loro compagno costante. Qualsiasi tipo di regola drastica, come la minaccia di toglierlo ad esempio,  rischia il fallimento. Vanno usati bene.. E’ un mondo che sta cambiando molto velocemente. Sono cambiamenti permanenti. I ragazzi sono preparati a questi cambiamenti?


Paola Brodoloni, qual è il tema della Giornata Mondiale della Sicurezza in Rete?
“Lo slogan è Crea, connetti e condividi rispetto.  Lavoriamo su due parole: rispetto e empatia. Al teatro Strehler i ragazzi possono ascoltare alcune testimonianze, quella di una vittima del bullismo e anche quella del bullo che racconterà quali sono state le conseguenze, anche legali. Spesso i ragazzi non si rendono conto a cosa vanno incontro. Ancora non c’è troppa chiarezza. Per questo abbiamo realizzato il Social code

Di cosa si tratta?
“E’ un codice di buona comunicazione che può aiutare tutti, anche gli adulti. Partendo dal mondo della scuola spieghiamo quello che è meglio fare, non ciò che è vietato”.

E’ un messaggio in positivo. Ce lo spiega nel dettaglio?
“Sono 6 punti. Il primo riguarda la sicurezza, il secondo web reputation, il terzo  netiquette e privacy, il quarto il linguaggio, il quinto  controversie e soluzioni e il sesto la scuola.

Cominciamo dal primo: Sicurezza.
“Una tra le prime cose da trasmettere ai ragazzi è che i profili social devono essere impostati con adeguate misure di sicurezza.

Il secondo: web reputation
“Bisogna stare bene attenti alla web reputation, ovvero la reputazione che si costruisce on line. Dunque non postare immagini o atteggiamenti che possono metterci in imbarazzo. Così come succede nella vita reale. Nessuno si metterebbe d’altronde mai in mutande in mostra nella vetrina di un negozio. Bisogna avere ben presente che il pubblico del web è ancora più vasto… e questo vale anche per i genitori  che pubblicano foto dei loro figli non pensando che così contribuiscono a costruire l’immagine di futuri adulti. E i ragazzi devono capire che se metteranno solo foto da sballati in discoteca, nessuno domani penserà che siano in grado di essere assunti per un certo lavoro”

Terzo: netiqette e privacy
“La buona educazione. Così come quando si entra nella stanza di una persona si chiede permesso, così anche su internet se taggo qualcuno o lo cito devo sempre chiedere se posso farlo”.

Quarto: il linguaggio
“Urlare on line le nostre opinioni non è mai una buona idea. Dobbiamo sviluppare l’empatia e pensare “se fossi io dall’altra parte?”. Bisogna stare attenti a come si parla. Quando ci si indigna di qualcosa siamo spinti a voler subito rispondere. Invece è meglio aspettare e imparare a esprimersi sempre con gentilezza”

Quinto: controversie e soluzioni
“Quando c’è un problema, un dissenso impariamo a gestirlo di persona. Mai on line. Quella che viene vissuta come un’aggressione sui social, a voce appare sempre in un altro modo.  A quattr’occhi ci sono dei prelinari, ci si scusa… quando si scrive invece magari si va di corsa e il messaggio diventa subito offensivo”

Infine il sesto: a scuola
“Il principio deve essere questo: comunicare per educare. Educare a comunicare. Se ad esempio utilizziamo facebook, o  i gruppi on line con gli insegnanti che ci danno l’opportunità di una comunicazione veloce, dobbiamo avere anche  la consapevolezza che i messaggi devono avere solo carattere istituzionale. Non è il luogo per discussioni o condivisioni di problemi. Le parole scritte possono essere mal interpretate.Chiedersi sempre poi se stiamo violando la privacy di qualcuno. Se anche gli adulti saranno più consapevoli potranno educare i loro figli a un uso corretto dei social network. Intanto, noi come associazione abbiamo avuto il compito dal ministero di formare tutti gli insegnanti in Lombardia”.

Tag: , , , , , , , ,