Anche i più sofisticati sistemi di informazione si sono fatti sorprendere dalle convulsioni del mondo arabo. Nessuno è in grado di prevederne gli sviluppi. Ci sono tuttavia alcuni fatti che li condizioneranno.
1) Ciò che succede nel mondo arabo non è nè una rivolta, nè una serie di colpi di stato. E’ una rivoluzione di dimensioni storiche in cui si confondono elementi ideologici, culturali propri alla rivoluzione francese a quella khomeinista oltre che ai moti liberali europei del 1848, alle rivoluzioni russe del 1905 e del 1917 e a quella di Nasser. Nel calderone ribollente di passioni, frustrazioni, ingiustizie e povertà la miccia esplosiva è rappresentata dalla lotta per il futuro eil controllo della regione.
2) I rivoluzionari idealisti dei due sessi di “Piazza Tahrir” che si battono in maniera diversa apertamente in Egitto, Siria, Yemen, e Libia e nascostamente in Iran, nella penisola araba, in Giordania, in Algeria, pagano il prezzo dell’entusiasmo coraggioso ma privo di organizzazione. Nel crollo delle vecchie strutture di potere emergono due forze ancora in fase di posizionamento: i Fratelli mussulmani e i militari. Chi siano questi militari non è chiaro dal momento che si tratta di ufficiali di grado inferiore che per il momento non sembrano polarizzarsi attorno ad un nuovo Nasser o Gheddafi. Certo è che i generali della giunta militare egiziana e forse in altre società militari arabe sono troppo compromessi coi passati regimi. Troppo arricchitisi nel sistema sono impauriti e insicuri. Lo si è visto nell’attacco della folla contro l’ambasciata israeliana al Cairo dove si sono mostrati prima incapaci o nolenti nel frenare l’attacco. Poi, minacciati da Washington, loro fornitore di due miliardi di dollari all’anno, sono passati all’altro estremo, inviando unità di commando che hanno fatto un morto e centinaia di feriti fra i manifestanti.
3) A livello statale il punto critico è l’Arabia Saudita. Sostiene i rivoluzionari in Siria e li attacca con i carri armati nel Bahrei. Custode dei luoghi santi dell’Islam, legittimata dalla forma più ortodossa (sunnita) dell’Islam il governo teocratico, principesco famigliare di Riad è impaurito dall’ostilità politica , militare e religiosa (shiita) iraniana, e ingelosito dal successo internazionale ed economico della Turchia che ancora ieri al Cairo si dichiarava per bocca del Premier Erdogan, laica, democratica e Islamica. Un “neo ottomanesimo” forte di uno sviluppo economico alla cinese, della sua posizione strategica fra Europa e Asia, del suo nuovo prestigio nel mondo arabo come protettore dei Palestinesi, della sua spregiudicata indipendenza nei confronti dell’America. E’ a Ankara, molto più che Teheran, Mosca, Washington per non parlare delle strade insanguinate di Tripoli, Cairo, Homs che si giocherà l’avvenire della rivoluzione araba.
4) Israele. Sotto la guida di una di leadership debole e miope ha scelto di fare di necessità virtù, trasformando un isolamento diplomatico che ha contribuito a creare attorno a sè, in un “riccio” armato di notevoli mezzi militari, economici, tecnologici. E’ paradossalmente, al tempo stesso simbolo di un occidente odiato e invidiato dal mondo islamico. E’ la più solida democrazia ma con un’immagine al tempo stesso di impotente capro espiatorio e di gigantesco piovra internazionale (12 milioni, che come ha scritto il premier turco Erdogan in un suo lavoro teatrale, dominano il resto del globo). Israele attende che la burrasca passi, cercando di guadagnare tempo sperando in nuovi mutamenti nella società araba, concentrandosi sullo sviluppo delle ricchezze energetiche sottomarine di recente scoperta. Ma il fatto che il voto sullo stato palestinese all’ONU mette gli Stati Uniti, suo unico alleato di fronte al dilemma di scegliere (col suo eventuale veto) fra Israele e il mondo arabo rimette una volta di più la “questione ebraica” al centro dell’interesse mondiale in termini molto differenti ma anche molto più rischiosi per la società internazionale.