Molto si è scritto ultimamente sulla intenzione di Israele di lanciare un attacco preventivo contro
l’Iran per bloccare la costruzione dell’arma nucleare.

Che l’Iran lavori intensamente a riunire tutti gli elementi per fabbricare la bomba non vi è dubbio tanto più che la dirigenza israeliana è convinta che dopo l’eliminazione di Gheddafi solo il possesso dell’arma nucleare possa giustificare un intervento militare straniero. Se Gheddafi avesse ancora avuto la bomba, la NATO non si sarebbe azzardata ad attaccarlo.

Per Israele assumersi il rischio di eliminare – ammesso che questo sia tecnicamente possibile – un pericolo che lo preoccupa molto meno dei vicini dell’Iran, sarebbe secondo quanto ha dichiarato l’ex capo dei servizi segreti “la cosa più stupida da immaginare”.

Anzitutto perché senza coordinamento con l’America, assolutamente opposta, una iniziativa del genere comporterebbe incalcolabili danni all’alleanza con Washington. In secondo luogo perché le minacce di Ahmadinejad non solo non danneggiano Israele ma giustificano la sua volontà di difendersi. In terzo luogo perché Israele è il solo a possedere nel Medio Oriente una capacità nucleare con cui rispondere a un attacco atomico o chimico. Sprecherebbe questa capacità se attaccasse per primo e senza essere provacato dando all’Iran la giustificazione di passare dalle minacce di distruzione all’azione.

Infine perché l’Iran alla costruzione di un ordigno nucleare non è ancora arrivato. Per l’Iran è più importante convincere il mondo di avere la potenzialità di costruire la bomba in qualunque momento piuttosto che dimostrare di averla facendola esplodere. Nello scontro la pistola più efficace è quella che non ha ancora sparato.