DI MAIO E RAGGIE fu così che la tanto decantata rivoluzione M5s a Roma venne bloccata da un giudice. Tempo fa la Raggi fu condannata per falso in merito alla nomina di Renato Marra, fratello di Raffaele, a capo della Direzione turismo. Roma si trovò per mesi commissariata, senza un sindaco. Di Maio decise di applicare alla lettera il codice etico pentastellato che prevedeva la defenestrazione di un condannato anche solo in primo grado. E così fece. Via, come se fosse un pacco postale indesiderato. D’altronde, mentre la compagna di partito si trovava in aula quel 9 novembre del 2018 a difendersi dalle accuse del pm e dell’ex capo di gabinetto Raineri, lui si limitò a pronunciare questa scarna dichiarazione: “Io non conosco l’esito del processo ma il nostro codice di comportamento parla chiaro e lo conoscete”. Tutto qui. Giustizialismo über alles. Alla faccia della Costituzione. Alla faccia dei romani che avevano riposto fiducia nel cambiamento e avevano votato per lei. Alla faccia di Roma. Perché, al netto del tifo politico, il M5s aveva comunque un progetto per il futuro della Capitale.

Progetto mandato in frantumi dagli stessi principi del M5s. Come un cane che si morde la coda, la rivoluzione grillina è implosa, distrutta dai suoi stessi artefici. I carnefici che guardandosi allo specchio si vedono vittime. E il paradosso si fa abnorme adesso che la sentenza di secondo grado ha ribaltato tutto e ha assolto la Raggi dalle accuse. Abbiamo scherzato. E ora che si fa? Chi glielo dice agli elettori che la rivoluzione pentastellata a Roma è stata riabilitata da un altro giudice ma che ormai è troppo tardi? È previsto un rimborso (elettorale, se non morale) per la sindaca? E Di Maio sarà ancora un convinto sostenitore del giacobinismo a 5 stelle? I principi di un movimento ancora valgono di più della legge e dell’unica Carta che disciplina una nazione? La risposta ha senso fino a un certo punto, perché tanto ormai è impossibile tornare indietro.

9 novembre 2021

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