Rudolf Stingel (Merano-Italia 1956)  vive tra la sua città d’origine e New York  ed il suo nome è a chiare lettere tra gli artisti internazionali di punta del panorama d’arte contemporanea. Riservato, schivo, ma deciso e onnivoro di culture che ha assorbito e travasato nel suo modo nuovo di fare arte, trasformando il concetto stesso  di pittura in una sorta di commistione delle arti, quasi presagendo un modo nuovo di poter iniziare a vivere un’epoca neorinascimentale. Ecco allora il grande amore scoppiato tra il collezionista francese Francois Pinault e Stingel , che li vide insieme nella conoscenza  non a New York o a Londra o a Parigi e Berlino, ma bensì a Trento nel Palazzo delle Albere dove l’ancor poco conosciuto artista sud-tirolese mise in piedi la famosa “stanza d’argento”; fu quella per l’appunto la prima opera che entrò nella collezione Pinault. Da allora rapporti stretti e vivace amicizia  che hanno portato a questa bellissima e “unica”, in tutti i sensi, mostra   a Palazzo Grassi a Venezia. Stingel è ritornato a Venezia, vi era già stato  nella Biennale del 1993  o perchè il suo lavoro  è stato parte  importante delle mostre  organizzate a Palazzo Grassi o a Punta delle Dogana dalla Fondazione Pinault.  Il lavoro di Stingel è assoluto, nel senso che è spettacolare e ingombrante,
ossia cattura tutto lo spazio, anzi lo spazio diviene opera  con i suoi tappeti, visto che è chiamato l’artista dei tappeti così come Capogrossi era l’artista delle forchette e Fontana dei tagli e dei buchi.
Usò il tappeto, anzi un tappeto arancione fluorescente  per la prima volta in una galleria a New York  nel 1991. Da allora è stato indicato come quello del tappeto arancione. Poi l’abbiamo notato con nostra grande ammirazione  tra il 2006 e 2007 nella galleria di Massimo De Carlo  a Milano ove aveva rivestito il pavimento con una moquette su cui era stampata l’immagine in bianco-nero di un tappeto persiano.  E nuovamente ammirato nel rivederlo qualche anno dopo alla Neue Nationalgalerie di Berlino dove trasformò radicalmente l’edificio progettato da Mies van der Rohe rivestendo il pavimento con un tappeto gigante. Con la mostra oggi messa in piedi a Palazzo Grassi  Stingel ha letteralmente ricoperti di moquette i cinquemila metri quadri del palazzo,  riproducendo a colori il motivo di un prezioso  tappeto orientale della Transilvania che ha trovato in un libro di manufatti orientali. Si rimane così  avvolti  non solo dai pavimenti ma  anche dalle pareti  dell’atrio e delle stanze del primo e secondo piano completamente trasformati, con un’installazione, in una superficie senza soluzione di continuità; sulle pareti installati una trentina di dipinti datati dal 1990 al 2012,tutti senza titolo, con immagini di sculture lignee antiche e persino un autoritratto  dall’aria decadente, e finanche un ritratto di Franz West, omaggio all’artista scomparso la scorsa estate. Solo i soffitti risparmiati dall’installazione. L’aver operato così a Venezia  fa vivere anche il richiamo -com’egli stesso ci rammenta- “allo studio viennese di Sigmund Freud, caratterizzato da diversi tappeti orientali stesi sul pavimento, sulle pareti, sul divano e sul tavolino”.  Magica atmosfera, perchè una volta entrati l’opera ti avvolge, la calpesti, la guardi, ti rammenta; l’opera pare quasi avvolgere  anche le stanze “dell’io” di ogni visitatore, e di questi tempi un’operazione così è veramente sciamanica.

 Carlo Franza

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