Il Madre di Napoli, perla museale dell’arte italiana, riapre con una mostra del berlinese Thomas Bayrle (Berlino 1937), l’artista degli artisti come spesso viene definito e insegnante alla Staedelschule di Francoforte  sul Meno, città dove vive, essendo oggi figura perniante e pioniere della pop art tedesca  insieme a Sigmar Polke e Gerhard Richter. Figura singolare del nostro tempo e  artista di caratura storica  proprio perchè a partire dagli anni della guerra fredda ha messo a confronto sia simboli della società comunista  che della società capitalista.   Traspare dal suo lavoro artistico, a chiare lettere, l’interrogativo dominante sui meccanismi della comunicazione  e della produzione della società globalizzata. Certo,questo va detto,che il suo approccio all’iconografia del consumismo di massa è di matrice ideologica. Se taluni volessero documentarsi su un nome dell’arte che ha fornito e sottolineato il ritratto dell’uomo-massa, della sua identità, dell’alienazione   e dello spaesamento in cui l’Occidente, soprattutto, vive ,ecco quel nome è da indicarsi proprio in Thomas Bayrle. Al Madre troviamo ben 200 lavori che datano dal 1960 ad oggi, in questa mostra organizzata insieme al Wiels di Bruxelles, ed  è anche la più ampia retrospettiva realizzata in Europa dall’artista tedesco, con una poetica in cui il lavoro traghetta sperimentalmente musica, design, editoria, grafica e attivismo politico. Di più, la sua arte è ossessiva, cresce ripetutamente su motivi base   che sono il consumismo, l’ecologia, la sessualità e la pornografia, la propaganda e la denuncia.  Insomma, finalmente, con Bayrle si va a ricomprendere l’arte  e la sua funzione nella società contemporanea. Non sono neppure lontane da lui le riflessioni filosofiche e sociologiche della “Scuola di Francoforte”  per via del suo fare ibrido. Opere messe in piedi con media molto diversi, dalle macchine cinetiche degli anni ’60 ai collages, dai dipinti di grandi dimensioni ai film, e ancora la produzione grafica e industriale, dai modelli architettonici alle recenti installazioni meccaniche. Tanti lavori,tutti legati al clima del boom economico e oltre,un insieme che restituisce il volto della società contemporanea massificata  e ritrovata in quella formula del titolo della mostra che è “tutto in uno” (all in one ) o anche “tutto compreso” per rispolverare un termine caro al marketing.  Mostra invadente e invasiva nello spazio in cui è calata e nella mente del visitatore, visto che l’ex operaio Bayrle, ossessionato dalla catena di montaggio di un’industria tessile  in cui ha  lavorato nel 1958  ha fatto sua la ripetitività e la conseguente alienazione, traendo dalla produzione quel fantasma della spersonalizzazione  dell’uomo di oggi e  facendone, soprattutto, il marchio della sua arte.

Carlo Franza

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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