Se l’esposizione è l’atto del porre all’esterno, del mostrare, del mettere a nudo, la parola suggerisce l’idea che ad essere esposta sia, innanzitutto, la propria pelle:ex-peau-sition”(Jean Luc Nancy). Il corpo nell’arte contemporanea è argomento di vasta significanza, anche perchè ci sono tanti corpi quanti sono gli artisti, gli spettatori e i collezionisti. Nel Novecento e oltre, le opere d’arte hanno spesso coinvolto il corpo, sia come creazione d’opera in sé stessa sia come relazione col mondo. Se consideriamo la mente come sede dell’intelletto, il corpo è mezzo di collegamento con il mondo, i sensi sono i canali di comunicazione, sicchè anche l’opera piú concettuale deve prendere in qualche modo in considerazione il corpo. Marcello De Angelis appartiene a quella schiera di artisti contemporanei che hanno lavorato e lavorano sul corpo, da Gina Pane a Orlan, da David Nebreda a Stelarc, da Piero Manzoni a Otto Muhl, fino a Hermann Nitsch, Marina Abramovich e il Wiener Aktionismus. Ognuno a suo modo porta riflessioni che girano intorno al corpo, al dolore, alle ritualità moderne, all’obsolescenza fisica e tecnologica, alle ferite e alle pratiche di chi usa il proprio corpo e quello degli altri, in bilico tra ironia, presenza storica, body art, schizofrenia, terapia e denuncia sociale. Questa mostra di Marcello De Angelis è proprio atipica, concettualmente viva perchè realizzata unicamente su commissione del collezionismo privato. Tant’è che è una vera propria galleria di ritratti, non con il soma che ci appartiene e che viviamo giornalmente allo specchio,ma con le impronte digitali dei committenti realizzate in injection painting su tela. Leonardo Conti uno dei galleristi-intellettuali che seguo con grande rispetto e simpatia da anni anche per le scelte ardue e rigorose che fa sempre, oggi ci propone nel suo spazio che è la PoliArt Contemporary di Viale Gran Sasso 35 a Milano la mostra di Marcello De Angelis dal titolo “Uno e Molteplice” dedicata al ciclo “Portrait” . Sono circa settanta ritratti (piccole tele di cm. 18×13), opere che vedono raffigurate, di un certo numero di visitatori-collezionisti, le impronte digitali, quell’ indistinguibile che fa di ognuno di noi un unicum nell’universo. Non dimentichiamo quanta valenza abbiano avuto le impronte per Piero Manzoni, e per Marcello De Angelis quelle impronte sono una proiezione coitale sulla tela, un lasciar traccia, una presenza dinamica e vitale, una scenografia mentale e corporale, entità viventi e autonome, giacchè il committente che ha deciso di farsi ritrarre dall’artista, ha partecipato al processo creativo, scegliendo le cromie da utilizzare dal bianco perlato, all’argento, al nero, passando per l’oro, il bronzo e il rame. Da un po’ di tempo, il recupero della centralità dell’uomo ha portato a una rilegittimazione della presenza del corpo nell’arte. Il corpo, viscerale e vulnerabile, presenza-assenza, specchio, identità, è sentito oggi come un potente significante dell’esperienza vissuta e uno strumento di indagine estetica e formale. Anche nella cultura popolare, per via della diffusione di piercing, tatuaggi e altre pratiche simili, il corpo è divenuto piú visibile come strumento di sfida nei confronti delle costrizioni imposte dai codici sociali. Il corpo è oggi, pertanto, riconosciuto come il principale terreno di incontro delle strategie identitarie e come un agevolatore e indicatore di appartenenza, anche di essere artisti. Non spontaneismo né gestualismo leggiamo nella colta mostra milanese, l’operazione creativa di Marcello De Angelis si rivela così in tutto il suo fare sapiente, matematico e spazialista, una coscienza ideologica e comportamentistica, controllata e consapevole, autoproduttiva e autosignificante.

Carlo Franza

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