Vip, autorità religiose cristiane e intellettuali si stanno mobilitando contro il sultano del Brunei, Hassanal Bolkiah, 67 anni, che dallo scorso 1 maggio ha fatto entrare in vigore nel suo piccolo paese a maggioranza musulmana, alcune modifiche al codice penale, introducendo la sharia, il codice di stampo islamico che prevede la condanna a morte per l’omicidio come per l’adulterio e pene come l’amputazione per i rei di furto e la lapidazione per gli omosessuali. Tutto avverrà in tre fasi, nella prima i cittadini del Brunei avranno ammende e pene detentive se trovati con la condotta indecente( ad esempio se non frequenteranno la moschea il venerdì e se faranno figli al di fuori del matrimonio), nella seconda che scatterà a fine 2014 i ladri e i rapinatori saranno frustati in pubblico e avranno le mani mozzate. Nella terza fase, finale, che scatterà nel 2015, ci sarà la lapidazione per adulterio e sodomia.Ha detto il sultano, colto da una crisi religiosa, che “queste leggi sono un aiuto di Dio”. L’emanazione del decreto, che vorrebbe difendere il Paese e la sua cultura dagli attacchi della globalizzazione, è stata contestata dall’ONU che tuttavia non è riuscita nell’intento di fermare la deriva islamista del ricchissimo sultano. E proprio a minare i guadagni del sultano – denunciando o ricordando le sue contraddizioni – punta invece un’altra protesta, quella inscenata dai vip di Hollywood che hanno lanciato una campagna di boicottaggio. No, non andremo più negli alberghi del gruppo del sultano, hanno quindi fatto sapere alcuni vip – tra questi, come si vede dai tweet, il patron di Virgin – il miliardario inglese Richard Branson -, la signora Sharon Osbourne – star della tv e moglie del controverso e famosissimo Ozzy – e l’attore Stephen Fry – oltre all’attrice comica Ellen De Generes , lo showman televisivo americano Jay Leno, e il designer americano Brian Atwood. Boicottiamolo tutti questo signore con baffi e pizzetto. Sarà bene sapere che il sultano del Brunei è proprietario anche della catena di alberghi Dorchester, tra cui il Bel-Air di Los Angeles, il Dorchester di Londra ,l’Athenèe di Parigi e il Principe di Savoia di Milano. In Brunei sta tremando quel 15% di popolazione cristiana con i rispettivi vescovi, la sharia si applicherà anche a loro.

Proprio strano questo sultano, che vive in un palazzo di 1788 stanze, che spende 15 mila dollari per un taglio di capelli, che fa feste faraoniche, che ha un parco vetture di 10.000 macchine; che ha regalato alla sua terza moglie, star televisiva trentenne, un Corano d’oro da quattro milioni; che quando ha festeggiato 50 anni ingaggiò Michael Jackson per una serata costata 17 milioni di dollari. Non ama né l’arte né la cultura, nemmeno la libertà.“Con l’entrata in vigore della presente legge, adempiamo il nostro dovere verso Allah”, ha detto il Sultano del Brunei, uno dei paesi più ricchi di petrolio. Ma ascoltate, se il sultano in età avanzata è colpito da vampate religiose, il fratello minore del sultano, tal principe Jefri Bolkiah, che vive in America, è malato di sesso; se dovesse tornare nel Brunei sarebbe anche a lui applicata la sharia? Una storia infinita quella della disputa legale tra il sultano del Brunei e il fratello minore, il principe Jefri Bolkiah, che se non accenna a concludersi quanto meno guadagna dettagli piccanti e grotteschi. Nell’ultimo atto della lunga controversia, che si terrà nei prossimi giorni a New York, il principe Jefri – conosciuto anche come il principe playboy – ha citato in giudizio due suoi ex avvocati accusati di sottrazione di beni di sua proprietà. E tra i documenti prodotti dagli imputati, per sottolineare la cattiva condotta del principe, spuntano anche sei statue pornografiche a grandezza naturale che lo riproducono nudo insieme ad alcune donne del suo harem. Gli avvocati vorrebbero portare in aula come prove le immagini delle statue, scolpite dall’artista J. Seward Johnson e un tempo esposte lungo la piscina della residenza newyorkese di Jefri, ma il principe si è appellato a un giudice di Manhattan per escludere le “statue erotiche” dal processo.

Carlo Franza

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