Un libro di storia,   nuovo, avvincente e originale è quello scritto da    Benedetta Gentile e Francesco Bianchini per la casa editrice Le Lettere di Firenze; ha titolo e sottotitolo da romanzo che ti lascia con il fiato sospeso: “I Misteri dell’Abbazia. La verità sul tesoro di Montecassino”. Ma è anche un rigoroso saggio storico portato avanti intanto con una scrittura chiara e invitante, ma è soprattutto ricco di documenti capaci di ribaltare, come ribaltano, talune versioni fin qui credute per vere, riguardanti i fatti e il salvataggio delle opere d’arte conservate nell’Abbazia di Montecassino prima dei bombardamenti alleati che la rasero al suolo il 18 febbraio 1944, settant’anni fa esatti. Un libro documento che fa onore alla storia dei beni culturali italiani. Si sapeva fino ad oggi che la salvezza dei cimeli e delle opere d’arte conservate nell’Abbazia era stata opera di due nazisti “buoni”, il tenente colonnello Julius Schlegel e il capitano Maximilian Becker, entrambi appartenenti alla famigerata Divisione Hermann Göring. Sarebbero stati loro a organizzare l’esodo dei tesori conservati nell’Abbazia per portarli al sicuro in Vaticano, poco prima che i “barbari alleati” radessero al suolo il faro della civiltà benedettina, l’Abbazia di Montecassino, cuore d’Europa, allora retta dall’abate Gregorio Diamare. Si convenne che le proprietà dell’Abbazia sarebbero state portate a Roma a San Paolo fuori le mura e quelle dello Stato a Spoleto, sede del Comando della Goering. Terminati gli imballaggi, il 17 ottobre partì da Montecassino il primo convoglio con gli archivi e la biblioteca, il 19 il secondo con padre Leccisotti incaricato di avvertire il Vaticano e le autorità italiane. L’ultimo convoglio partì da Montecassino il 3 novembre con le opere della Galleria Nazionale e del Museo Archeologico di Napoli, ancora settantamila documenti dell’Abbazia e le reliquie di di San Benedetto e di Santa Scolastica. Ma le casse non si fermarono nella capitale, proseguirono a nord ovvero a Spoleto. Già qui a Spoleto dalle casse sparì la “Danae” di Tiziano che, nel giorno del suo 51mo compleanno, Goering aveva mostrato con orgoglio ai suoi ospiti. Il povero abate Diomare fu costretto a rilasciare una lettera di elogi a Schlegel e a firmare una pergamena in dono per il comandante della Goering, generale Conrath. Il 18 febbraio del ’44 il vecchio abate Diomare fu portato a Roma ma già tre giorni prima gli aerei alleati avevano bombardato Montecassino. Le cose andarono poi diversamente. Da decenni si dubitava di questa versione dei fatti, anche se il tenente colonnello Schlegel è stato ufficialmente celebrato come il “salvatore” dei tesori di Montecassino. Quando morì, nel 1958, tutte le campane dei monasteri benedettini d’Europa suonarono contemporaneamente in suo onore, e Vienna, la sua città natale, gli dedicò un monumento in un parco, una targa sulla casa di residenza e addirittura una via. A Montecassino, invece, gli anziani monaci testimoni diretti degli avvenimenti, pur avvallando la versione ufficiale del salvataggio, si opposero sempre all’affissione sui muri dell’abbazia ricostruita di una targa a ricordo del “salvatore Schlegel”. Ma allora, che cosa accadde veramente attorno al tesoro di Montecassino? E a chi si deve la sua salvezza dalla furia della guerra? Atri colleghi storici come Sergio Romano e Carlo Gustavo di Groppello avevano avanzato il sospetto che il merito del salvataggio dei tesori di Montecassino non potesse essere assegnato a Julius Schlegel e a Maxilimian Becker, in quanto essi appartenevano alla Divisione Göring, e dunque alle dirette dipendenze del potentissimo Feldmaresciallo, uno dei più attivi ladri di opere d’arte in quegli anni in Europa. E pur se i due ufficiali trascorsero la vita a mentire sui fatti e cogliere le benemerenze di «salvatori dei tesori di Montecassino», sia Schlegel che Becker (anzi ambedue fornirono sempre diverse versioni dei fatti), in realtà evacuarono Montecassino con l’intento nascosto di spedire in Germania il meglio dei “capolavori salvati” presso il loro potente Feldmaresciallo. Chi sventò invece questo piano di furto? Un altro tedesco,ovvero il comandante del XIV Corpo d’Armata corazzato tedesco in Italia, il barone Frido von Senger und Etterlin, personaggio e signore d’altri tempi, un nobiluomo poliglotta che aveva studiato ad Oxford, che proveniva dalla cavalleria e mal digeriva  i nazisti. Per di più cattolicissimo e vestiva le insegne dell’ordine terziario benedettino. Appena giunto in Italia, nell’autunno del 1943, sventò il piano di Göring accorgendosi che le 180 casse di opere prelevate con autocarri a Montecassino da Schlegel e Becker tra l’ottobre e il novembre del 1943 avevano già oltrepassato Roma per essere nascoste in un deposito della Divisione Göring a Spoleto, pronte per venir spedite “al sicuro” a casa del Feldmaresciallo a Carinhall in Germania. Fu dunque Frido von Senger und Etterlin il vero salvatore di Montecassino perché intimò perentoriamente a Schlegel di consegnare a Roma e al Vaticano il tesoro di Montecassino, secondo i piani stabiliti. Senger ha sempre taciuto sul reale andamento dei fatti, da nobile e anziano militare, ha evitato di gettare fango sulle truppe tedesche, tendendo conto che l’esito della vicenda fu comunque positiva e fu forse l’unico punto a favore dei tedeschi in Italia: il fatto di aver oggettivamente svuotato Montecassino per tempo, evitando che tutto andasse distrutto del disastro del bombardamento alleato. La figlia di Frido von Senger ha consegnato pochi anni fa all’Imperial War Museum di Londra le carte appartenute a suo padre, e in una di esse è contenuta la prova scritta di quanto già si sospettava: che fu il barone von Senger il responsabile del salvataggio del tesoro di Montecassino. A guerra finita von Senger poté contare su numerose testimonianze che confermarono il suo corretto operato durante la guerra,tra cui quella di Achim Oster (un oppositore del nazismo, la cui famiglia era stata decima da Hitler), il quale parlò del ruolo diretto rivestito da von Senger nello sventare la rapina dei tesori di Montecassino, e dell’ordine impartito da lui stesso a Schlegel di consegnare la maggior parte degli oggetti artistici dell’Abbazia ai Musei Vaticani. Così fu in effetti, e tutto fu portato a Castel Sant’Angelo a Roma. Le casse di Spoleto su sollecitazione di monsignor Montini, allora sostituto della Segretaria di Stato Vaticana, vennero consegnate il 5 gennaio, mancavano due autocarri di quanti erano partiti dall’ Umbria. Fu detto che erano fermi per guasti e che sarebbero arrivati il giorno successivo. Non arrivarono mai. Con gli autocarri non arrivarono 15 casse che avevano proseguito il viaggio fino a Berlino. Il maggiore Evers, della divisione Goering, per avere diretto in piazza Venezia il 5 gennaio la cerimonia della restituzione parziale dei tesori di Montecassino, ricevette il 20 aprile 1944 la croce di ferro di seconda classe con le spade. Il generale Senger, comandante del Corpo d’ armata, e il generale Conrath ebbero molti elogi dalla stampa e dalla radio tedesche, e poterono mostrare con compiacimento le lettere di ringraziamento dell’ abate Diomare il quale, ottantunenne, torno’ a rivedere Montecassino nel 1945, poco prima di morire, in lacrime dinanzi alle macerie di quello storico luogo di culto.

Carlo Franza

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