Dieci anni di Maison Rouge, celebrati con una selezione delle opere dalla collezione di Antoine de Galbert, fondatore del tesoro parigino. Chi entrerà al numero 10 di Boulevard de la Bastille troverà una parete infinita che corre per oltre duecento metri, salendo e scendendo in una complessa, ma diretta articolazione espositiva. Valenza che potrebbe essere di lezione, utile, per mille spazi museali italiani. Siamo a “Le Mur”, una mostra che presenta centinaia e centinaia di lavori, solo parte della più ampia collezione di Antoine de Galbert.Affinché ciascuna occupasse uno spazio è stato utilizzato un software per distribuire i lavori su una superficie, basandosi unicamente sulle dimensioni ed il numero di inventario all’interno della collezione. Unico criterio? Escludere i video e l’arte antica. Alla Maison si è davvero distratti dall’ossessione del collezionista per il volto, la visione, l’insistenza per l’antropologia e le forme tribali, la deformità e la natura animale e non ci si domanda chi sia il regista di questa pellicola morbosa. Una mostra di un’intelligenza smisurata, che affida all’osservatore la discussione sul ruolo del curatore nel sistema arte, creatore oggi più degli stessi artisti ed invece insolitamente annullato in “Le Mur”, proprio perché assente.Nessuna scaletta ad imporsi nella visione: al visitatore si dà spazio per un percorso autonomo, dove non si determinano visioni preferenziali. David Lynch, presente con alcuni pezzi, apprezzerà sicuramente questo spazio libero, lo stesso che lascia per interpretare le sue creazioni cinematografiche. Così, all’inaugurazione, si sentono i visitatori proporre una loro personalissima chiave, costruita sulle ossessioni di Galbert, perchè di questo si deve parlare. Diviene così legittimo notare certi nomi, anche in base al proprio percorso personale di ricerca nelle sale parigine. Non mancano, e bene spiccano, tra gli altri Michael Borremans, Christian Boltanski, Boris Mikhailov, Michel Nedjar, Roman Opalka, Miroslav Tichy, Jean Rustin. Anche alcuni italiani tra cui Claudio Abate, Paola Pivi, Flavio Favelli e Christian Fogarolli, quest’ultimo davvero a pieno titolo nel mondo di Galbert. In mostra c’è anche molta storia della Maison e del percorso personale di Galbert, che, scherzando nel catalogo, confessa di aver creato questa mostra per potersi rivedere meglio, quasi fosse un grande specchio: “La maison rouge non è la creazione di uno storico, bensì una pura intuizione”.Arte contemporanea si ma con un’attenzione particolare rivolta alle collezioni private di ogni angolo del pianeta. Così’ dopo aver mostrato quelle degli altri, al ritmo di una all’anno, in questa occasione Antoine de Galbert, fondatore e presidente di La maison rouge, svela una parte della sua d’arte moderna e contemporanea, installazioni, video, sculture arte più antica e arte primitiva esclusi. Più di 1200 opere di più di 500 artisti che formano un nastro di circa 3 metri di altezza che scorre lungo tutte le pareti delle sale. La grande novità consiste nel fatto che le opere sono presentate appese al muro grazie all’aiuto di un software a conoscenza soltanto del loro formato e del loro numero di inventario, senza distinzione di misura, forma, storia, valore commerciale e notorietà dell’artista. La selezione è così’ lasciata al visitatore, che ha come sola guida il suo sguardo, la sua curiosità e i suoi gusti, aiutato da smartphone, tablet o dagli schermi tattili a disposizione nelle sale. Un viaggio artistico atipico e sorprendente, ma anche l’occasione di scoprire per chi non la conosce ancora questa vecchia fabbrica riabilitata di fronte al porto dell’Arsenale, a due passi dalla Bastiglia, luogo consacrato all’arte contemporanea ma anche spazio conviviale con il suo piacevole caffè e la sua bella libreria.

 E chi visita la mostra se ne va con la stessa collezione: “un’agenda mentale , un inventario dimenticato di alcune dozzine di nomi di artisti di cui vorrei possedere una faccia”. Il catalogo, pregevole come tutte le edizioni della Maison, contiene il muro stesso, con miniature delle opere esposte, il testo citato di Galbert ed una sua conversazione con Anaël Pigeat nonché un saggio di Sophie Delpeux relativo all’allestimento delle opere come veicolo di determinate letture. E non si può mancare, a settembre, quando sarà presentato un video, per mostrare i retroscena della mostra.

 Carlo Franza

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