«Ci sono due cose di cui non ne hai mai abbastanza, buoni amici e buone scarpe», sostiene con convinzione l’attrice statunitense Sarah Jessica Parker, indossando i panni di Carrie Bradshaw nella famosissima serie televisiva “Sex and the City”. Ce la ricordiamo mentre affannata sale e scende dai taxi, percorrendo in lungo e in largo Manhattan, specialmente per andare a cocktail, party e appuntamenti galanti. Inciampa ripetutamente a causa dei tacchi vertiginosi con cui rafforza la sua femminilità e appaga l’ambizione di appartenere ad un certo status, possedendo borse firmate Prada e, soprattutto, scarpe di Manolo Blahnik. Come darle torto, se anche il noto proverbio popolare italiano recita “altezza metà bellezza”?

Ma, come per tanti “shoeaholic” (persone che possiedono oltre 60 paia di scarpe), anche per Carrie si tratta spesso di pura “vocazione estetica”, perché le scarpe – come i cappelli – sono delle vere opere d’arte, “sculture indossabili” che trasportano lontano dall’ordinario e dal quotidiano. Inoltre sono l’accessorio di moda più provocatorio in assoluto, abile nel stimolare fantasie e sogni in un universo non necessariamente solo al femminile.

Partendo da questi presupposti, la mostra “Killer Heels: The Art of the High-Heeled Shoe”, curata da Lisa Small nella Robert E. Blum Gallery, al primo piano del Brooklyn Museum (fino al 15 febbraio), senza ripercorrere pedissequamente – passo dopo passo – la storia della moda, piuttosto intercettando con disinvoltura glamour e fetish, mette a confronto il fortissimo legame che unisce le scarpe con il tacco alto alle varie arti visuali, in particolare pittura, design, architettura, cinema, riportando l’attenzione sulle influenze che, nel corso dei secoli, hanno attraversato epoche, spostandosi da Oriente a Occidente e viceversa. Nelle bacheche del museo della Grande Mela si possono ammirare più di 160 modelli di scarpe con tacchi ora vertiginosi, ora sperimentali, ora semplicemente provocatori.

Nel titolo stesso della mostra trapela quel tanto d’ironia, considerando che i “tacchi killer” non sono solo quelli a spillo del modello “Printz”, disegnato dallo stilista francese Christian Louboutin per la collezione primavera/estate 2013-2014, ma anche quelli più consistenti delle terrificanti “Super Elevated Gillie” (finto coccodrillo, 9 pollici = 22,86 centimetri) di Vivienne Westwood, bad girl della moda britannica, che hanno causato la ruzzolata di Naomi Campbell sulla passerella parigina nel 1993.

Coloratissimi, ma assai più sobri, sia l’arcinoto sandalo “Rainbow” con la zeppa realizzato nel 1938 con strati di sughero colorato da Salvatore Ferragamo (prestato per l’occasione dal Metropolitan Museum of Art) che gli stivaletti a pois (“Dot Boot”, 2002) che sanciscono la collaborazione tra Damien Hirst e Manolo Blahnik.

Quanto al rapporto con l’architettura, non potevano mancare le “Nova” shoes disegnate dall’archistar Zaha Hadid nel 2013 in edizione limitata di 100 paia. Prodotte da United Nude, sono scarpe con la zeppa che evocano le formazioni geologiche, traducendo al modico prezzo di 1300 sterline anche il ritmo del vento in pelle, vinile metallico cromato, fibra di vetro e gomma. Un implicito accenno al masochismo, o meglio all’assuefazione al dolore dell’amore e alle tensioni sessuali, sono un tema affrontato anche nel film appositamente realizzato per la mostra da Nick Knight (tra gli autori invitati a realizzare un lavoro ci sono anche Ghada Amer e Reza Farkhondeh, Zach Gold, Steven Klein, Marilyn Minter e Rashaad Newsome), La Douleur Exquise basato sulle scarpe di vetro di Georgina Goodman, certamente vicine a quelle della favola di tutti i tempi: Cenerentola. Décolleté che richiamano (ma solo nella forma) quelli disegnati da Ferragamo per Marilyn Monroe, come pure una scena “ingenuamente” erotico-fetish della cinematografia americana: Dean Martin che beve vino dalla scarpa di Kim Novak in Baciami stupido (1964) di Billy Wilder.

Ancora più indietro nel tempo, troviamo altri oggetti significativi a loro volta, determinanti nell’ispirare forme nei secoli a venire, come le scomodissime e altissime “ciopine”, calzate dalle cortigiane veneziane e datate tra il XVI e XVII secolo. Non meno comodi gli zoccoli di legno usati dalle donne negli hammam, che in mostra vengono contestualizzati in associazione con il dipinto di Jean-Etienne Liotard, A Lady in Turkish Costume with her Servant at the Hammam. Così come la riproduzione di una vecchia foto di Cíxǐ, l’ultima imperatrice della dinastia Qing, che mostra i piccolissimi “piedi di loto” calzati in vere e proprie urne metalliche. Lì davanti sono esposte nella vetrina scarpette cinesi di seta, risalenti al XIX secolo. Tra gli oltre 160 pezzi c’è anche lo “Shoe Hat” (1937-38), felice collaborazione tra Elsa Schiaparelli e Salvador Dali: Dadaismo e Surrealismo furono per la grande stilista italiana una fonte d’ispirazione irrinunciabile.Forme azzardate, improbabili e imprevedibili, ispirate all’arte e alle natura, intrecci di tecnologia e tradizione, le scarpe raccontano molto più di quello che vediamo. Come diceva Marilyn Monroe: «Io non so chi abbia inventato i tacchi alti, ma tutte le donne gli devono molto».

Carlo Franza

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