FF11_big-590x393exibartsegnala2015317153727Dal 1968 quel nobiluomo di Pino Pinelli occupa uno spazio importante in quella che è stata definita la “Pittura Analitica” in Italia. Nato nel 1938 a Catania, da sempre a Milano, è un altro dei pilastri dell’arte italiana contemporanea che stanno avendo oggi nuova attenzione, dalle aste internazionali ai musei. Ora per scoprire o riscoprire il lavoro di questa figura singolarissima, alla Galleria Dep Art di Milano, è aperta una importante mostra pino-pinelli-antologia-rossa-0_109162-kK9H--400x320@Milanorev146556(1)retrospettiva con opere dagli anni ’70 ad oggi: dai primi monocromi che indagano lo “stato ansioso” della pittura fino alla “rottura del quadro” e le conseguenti “disseminazioni”, in un’esposizione intitolata “Antologia Rossa”.

“Negli anni Settanta, artisti come Pino Pinelli presentano una deflagrazione e uno sconfinamento in grado di dare corpo alla pittura, rendendola materia (più ancora che materica). Pinelli, ad esempio, avverte l’esigenza di rifondare la natura stessa della pittura, i suoi presupposti, prefigurandone gli sviluppi futuri e tutte le diramazioni possibili. Ancor oggi, la sua è una pittura “pensata” in relazione allo spazio espositivo, “progettata” per vivere in sinergia e in simbiosi con l’architettura”, così scrive in catalogo il collega Alberto Zanchetta. I seguaci della Pittura analitica, e Pino Pinelli è fra questi, – chiamata anche in altri modi, da Nuova pittura a Pittura pittura a Fundamental Painting – pur consapevoli dell’importanza rivestita dall’analisi e dalla conoscenza esatta dei mezzi espressivi dell’artista, ma altrettanto convinti che la pittura avesse ancora molto da esprimere, dipingono in maniera per così dire “concettuale”, cioè applicando alla pittura quella stessa analiticità che gli artisti concettuali applicavano nell’indagare da un punto di vista estetico altri aspetti del reale. In questo modo la pittura ottiene un duplice risultato: diventa essa stessa l’oggetto d’indagine dell’artista e perde ogni connotato di riferimento naturalistico o anche semplicemente realistico. L’accento è posto da questi pittori sulla pratica pittorica e sulle relazioni tra gli elementi fondanti la pittura, quali superficie, supporto, colore, segno. La pittura non deve più rappresentare qualcosa per essere legittimata, ma è sufficiente che parli di se stessa. Osserviamola da vicino la pittura di Pino Pinelli, segmenti, linee, interlinee, tracce, impronte, percorsi, ecc.; Pino Pinelli è rimasto detentore di una sua inconfondibile e unica maniera. La sua pittura si è come naturalmente e tempestivamente svincolata dal supporto, ha acquistato una grana di madrepora, ha acquisito una morbidezza di muschio, pulsando in concrezioni esatte e ritmate: colate laviche di colori primari, rossi, blu, gialli, neri, bianchi, raffreddate nel bel mezzo delle loro eruzioni emotive, con paste disciplinate da grammata granulosità, che rivelano, per usare le sue parole, “quasi uno stato ansioso della superficie”. La sua maggiomente, ma anche quella di Luciano Bartolini, Carlo Battaglia, Enzo Cacciola, Paolo Cotani, Giorgio Griffa, Marco Gastini, Paolo Masi, Claudio Olivieri, Claudio Verna, Elio Marchegiani, Vittorio Matino, Carmengloria Morales, Pino Pinelli, Riccardo Guarnieri, Gianfranco Zappettini, compresi i precursori Rodolfo Aricò e Mario Nigro secondo diverse prospettive e punti di vista, hanno portato la pittura a pensare se stessa nel momento stesso in cui prendeva corpo, quasi fosse animata da riflessioni impresse nei gesti, da meditazioni appena sciolte nel colore. Quest’ansia di ricerca fin dai primi Anni Settanta non ferveva solo in Italia, ovviamente. In Francia era attivo il quartetto composto da Daniel Buren, Olivier Mosset, Michel Parmentier e Niele Toroni, i quali riflettevano sulla pittura praticandola nel momento stesso in cui provocatoriamente la rinnegavano, e inoltre il gruppo Support/Surface. Ma anche nel resto d’Europa, soprattutto in Inghilterra, Germania e Olanda, la pittura, la “nuova pittura”, rivisitava se stessa. Negli USA artisti del calibro di Robert Mangold, Brice Marden e Robert Ryman fin dagli anni Sessanta si adoperano a rielaborare i fondamenti di quest’arte, che anche laggiù, abbandonando le postazioni sistematiche,si è inoltrata sempre più in una direzione decisamente analitica. Questa mostra di Pino Pinelli che è un vero e proprio omaggio a questo artista, significativo intellettuale, e ben altre più importanti che speriamo presto di vedere in Italia e all’estero in spazi prestigiosi, contribuiscono a mettere una cornice di profondo pensiero sul lavoro decisamente unico per un grande non solo in Italia, ma nell’intero contesto internazionale.

Carlo Franza

 

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