C_4_articolo_2110667__ImageGallery__imageGalleryItem_7_imagea134e97867c293caeeaf8466413019da2774da

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C_4_articolo_2110667__ImageGallery__imageGalleryItem_13_image2015-05-26Primato-del-disegno-2C_4_articolo_2110667__ImageGallery__imageGalleryItem_1_imagePer quanto famosa per la presenza di opere pittoriche, la Pinacoteca di Brera, grazie al suo legame con l’Accademia di Belle Arti, istituzione che in epoca neoclassica ha sostenuto la grande tradizione del disegno, conserva anche un ricco ma poco noto Gabinetto di Disegni. Un’importante selezione di tali opere, di Brera, su carta, viene proposta in mostra, dal titolo “Il Primato del Disegno”, accanto a prestigiosi prestiti dalle più importanti collezioni pubbliche italiane e straniere, dal Louvre, dall’Albertina di Vienna, dal Metropolitan Museum, dalla Morgan Library, dagli Uffizi e dal Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco ecc. Il tema dell’esposizione è l’arte del Disegno come strumento fondamentale per leggere e comprendere la pittura e raduna infatti esemplari scelti espressamente perché strettamente correlati ai quadri della Pinacoteca. Il confronto fra opere su carta e opere su tela (o tavola), molte delle quali espressioni cruciali della storia dell’arte italiana, permetterà di comprendere il raffinato e poetico rapporto tra la fase dello studio preparatorio e la stesura finale o, per usare le parole di Giovanni Morelli – fondatore di una particolare impostazione della critica artistica basata sul riconoscimento di un artista attraverso i dettagli anatomici – “farne una galleria per studiare meglio le specialità tecniche di quei maestri”. La mostra sta a dimostrare come il disegno, dal Trecento al Novecento, sia costante fondamentale per la genesi dell’opera pittorica. Insignita da Giorgio Vasari di un ruolo prioritario rispetto alle altre arti, pittura, scultura e architettura, l’arte del Disegno fin dal XVI secolo ha rappresentato un momento fondamentale per la formazione degli artisti (come conferma l’aneddoto di vasariana memoria del giovane Giotto intento a disegnare una pecora). L’itinerario espositivo ripercorre cronologicamente la storia delle scuole pittoriche italiane, a partire dai rarissimi esempi pisanelliani e di Stefano da Verona, e dalla straordinaria stagione della pittura veneta del Rinascimento, in cui Mantegna, Giovanni e Gentile Bellini, affrontano prospettiva e interesse per la natura e utilizzano il disegno come strumento di indagine della realtà. Segue una sezione dedicata a Leonardo e i Leonardeschi, fondatori in Lombardia di una vera e propria scuola del disegno: come per i dipinti del maestro, anche i disegni esposti mostrano un arricchimento di valori quasi cromatici, di sfumati e di effetti luministici. La rappresentazione dello spazio secondo la visione bramantesca compare in mostra grazie agli esempi di Bramantino, Gaudenzio Ferrari e Bernardino Lanino, nelle loro figure tendenti alla geometrizzazione. Grazie a prestiti prestigiosi si è potuto riunire accanto all’unico disegno preparatorio conosciuto per lo Sposalizio della Vergine di Raffaello, proveniente da Oxford, una serie di maestri raffaelleschi e manieristi fino a Parmigianino e Salviati, in un excursus che dalle forme pittoriche del primo Rinascimento giunge fino alla linea forzata dei grandi del tardo Cinquecento. Completano il panorama del XVI secolo la scuola pittorica veneziana, rappresentata da Tintoretto e Paolo Veronese, più manierista l’uno, più realista e luministico l’altro, e gli altri casi significativi dell’Italia settentrionale: Luca Cambiaso, noto per i suoi effetti di luce, e i Campi, maestri del realismo più naturale. Un capitolo speciale è dedicato a Federico Barocci, che per la sua attenta osservazione del vero, per la cura quasi maniacale per il disegno preparatorio, sapientemente arricchito di colore e colpi di luce, segna il passaggio verso l’epoca moderna. Il Seicento è rappresentato da diverse realtà geografiche: a Bologna la fondazione dell’Accademia degli Incamminati, da parte del Cardinal Paleotti, costituisce il primo esempio in Italia settentrionale di insegnamento basato sul disegno. In mostra compaiono gli importanti e rarissimi cartoni di Ludovico Carracci e Guido Reni, di proprietà della Pinacoteca e generalmente non visibili al pubblico. Conclude il secolo un interessante confronto con un disegno barocco di Pietro da Cortona. La sezione del Settecento è dedicata alla pittura, e di conseguenza al disegno, di genere; Giuseppe Maria Crespi, Londonio, Piazzetta, Canaletto e Guardi introducono alla pittura aneddotica, alla “pittura di carattere” e al vedutismo. L’epoca neoclassica è rappresentata da raffinate opere di Giuseppe Bossi e da un interessantissimo confronto fra un affresco strappato e il disegno preparatorio corrispondente di Andrea Appiani, entrambi di grandissimo formato. Grazie ad alcuni esemplari su carta di Hayez e Fattori si prende in esame l’Ottocento ed in particolare la visione romantica del Bacio, da un lato, e del realismo imperturbato e poetico, dall’altro. L’autoritratto di Segantini introduce invece al disegno del Novecento. Oltre alle opere costruite tradizionalmente basandosi sul disegno, da Boccioni, Modigliani, Carrà, Morandi, Sironi, Giacometti, Licini, il Novecento propone altre infinite possibilità, dalle avanguardie storiche alla linea grafica, come espressione del tormento umano del secolo. Oltre al percorso storico la mostra permette anche di addentrarsi nelle dinamiche di bottega degli artisti, di notare come un disegno poteva anche essere assunto come prova di contratto (Barocci), o poteva essere riutilizzato più volte (Francia) come cartone preparatorio ripetibile (Carpaccio), permette di osservare quanto spesso gli artisti disegnassero sul retro dei dipinti, tracciando figure e profili, vere e proprie prove di grande creatività, mai prima esposte al pubblico (Pietro Alemanno). Ma si scopre anche come gli artisti rielaborassero i disegni anche poco dopo l’esecuzione del dipinto, considerandoli concettualmente autonomi rispetto alla pittura (Morandi), o infine come elaborassero monocromi come documento di bottega, materiale di riferimento per conservare la memoria e i modelli, per un teatro degli affetti destinato a commuovere ancor più di un’opera dipinta (Giovanni Bellini).
Ai collezionisti e agli studiosi del settore questa mostra non può sfuggire, serve miracolosamente a leggervi quello slancio vitale, primario, che spesso poi porta l’artista a dipingere quanto disegnato.

Carlo Franza

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