adrian-cheng                                   Le borse flettono, sono in ribasso, i mercati sono fortemente preoccupati. Ma in Cina si investe in un settore ancor più sicuro dei “mattoni”, l’arte. Non ci ha pensato due volte il miliardario Adrian Cheng (nella foto), fondatore del non-profit K11 Art Foundation nel 2010, il quale ha annunciato che prevede di costruire 17 nuovi centri commerciali, tutti in terra cinese, che serviranno anche a raddoppiare spazi espositivi e gallerie.
Una storia non nuova visto che il gruppo di Cheng gestisce già strutture simili sia a Shanghai che ad Hong Kong, con opere di artisti come Olafur Eliasson, Damien Hirst e Yoshitomo Nara sparse tra le corsie dei negozi. Mall dell’arte, con un po’ di “democrazia” e il grande cattivo gusto dell’est, nel trattare tutto come pura mercanzia, fossero anche opere millenarie.
Ma c’è dell’altro, ecco un’altra novità; il K11 e l’Institute of Contemporary Arts (ICA) di Londra stanno collaborando su una serie di mostre, nel tentativo di promuovere gli scambi culturali tra la capitale del Regno Unito e la Cina (non dimentichiamo, infatti, le tensioni pre-estive che avevano coinvolto Ai Weiwei e la diplomazia inglese). La partnership prenderà il via con una mostra di opere di Zhang Ding, adesso in ottobre. Cheng possiede un valore stimato di 1,4 miliardi di dollari, secondo il sito Wealthx, che ha incluso il filantropo tra i primi 20 miliardari del mondo under 35. Dico questo ai tanti galleristi italiani piccoli e grandi che si arrabbattano pensando di fare mercato vendendo qualche opera in tv,  che tra qualche anno non varrà più nulla, o  pensando di fare mostre nostrane provinciali  di qualche artista che non è conosciuto oltre i confini d’Italia  o forse solo nell’enclave statunitense della “Little Italy” ovvero “piccola Italia”.

Carlo Franza

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