thumbCAHBHX6BthumbCAFJ4GAOGofqb6Kashraf-fayad-il-poeta-condannato-a-morte_505055Si dice qui, si dice lì, che l’islam è diverso, che il Corano è diverso, che l’Isis non è l’Islam. Possono raccontargliela a un qualche contadinotto, a qualche sprovveduto, ma non a noi. Perché Islam non è libertà. Punto e basta. Sentite cos’è avvenuto in Arabia Saudita nel Regno dove la sharia è di casa, la stessa sharia o legge islamica che dovrebbe -dico dovrebbe- ( o forse vorrebbero) essere introdotta in un possibile futuro anche in Italia. Ashraf Fayad, poeta palestinese, è stato condannato a morte da un thumbCAOEM0I0thumbCAIK2EXAtribunale saudita per il reato di apostasia: lo ha annunciato l’organizzazione umanitaria Human Rights Watch, precisando che è possibile un ricorso in appello. In Arabia Saudita, giovedì 19 novembre, è stato condannato a morte Ashraf Fayadh. La condanna è stata emessa per le seguenti motivazioni: aver rinunciato all’Islam, aver propagandato, attraverso le proprie poesie, l’ateismo e cercato di portare avanti pratiche contrarie alla legge, quali il portare i capelli lunghi e l’avere archiviate sul proprio smartphone immagini di donne. Ma io mi chiedo, uno è libero o no di credere in Dio? E se non crede, deve essere ucciso? Fayad era stato condannato in prima istanza a quattro anni di carcere e 800 frustate in seguito ad una denuncia di un gruppo culturale all’interno del quale era sorta una lite: Fayad era stato accusato di affermazioni blasfeme, anche in relazione ad alcune poesie scritte dieci anni fa; nel corso del processo Fayad aveva negato che il carattere della sua opera fosse “blasfemo”, chiedendo tuttavia scusa ai giudici che – secondo Hrw – non “avevano voluto condannarlo a morte”. Un altro tribunale ha però rovesciato al sentenza, ignorando le testimonianze a favore del poeta e sottolineando come l’esercizio del perdono “spetti a Dio”. Ashraf Fayadh, 35 anni di età, è un poeta e artista nato in Arabia Saudita. È membro di Edge of Arabia, un’associazione artistica britannico-saudita. Autore del libro “Instruction Within”, (Istruzioni dall’Interno), pubblicato nel 2008 è stato curatore di alcune mostre, tra cui una delle quali organizzata presso la Biennale di Venezia( è stato in quell’occasione che l’ho conosciuto). Come ha dichiarato David Betty, esperto di Medio Oriente per il Guardian, Fayadh fu arrestato una prima volta nel 2013 con le accuse di aver bestemmiato, di aver insultato l’Arabia Saudita e distribuito, illegalmente, copie del suo libro. Il giovane artista ha poi spiegato che la cosa era nata a seguito di una discussione con un altro artista in un caffè di una località araba. Il giorno seguente fu rilasciato su cauzione. Il primo gennaio 2014 Ashraf Fayadh è stato nuovamente arrestato con le accuse di aver fumato in pubblico e di portare i capelli lunghi, arresto che gli ha comportato qualche giorno di prigione e la confisca dei documenti.
A maggio 2014 Fayadh ha ricevuto una prima condanna a quattro anni di carcere e ottocento frustate. Fayadh si è appellato contro quella che lui riteneva essere un’ingiusta condanna. La corte non ha però ritenuto valido l’appello e si è giunti così alla condanna a morte. Essendosi però Fayadh sotto tortura dichiarato “musulmano fedele”, la corte gli ha concesso 30 giorni di tempo per appellarsi contro la condanna alla pena capitale. Questa condanna a morte è il sintomo dello tensione e della barbaria che regna in Arabia Saudita, stato nel quale, tra il 1985 e il 2013, sono state uccise, a seguito di una condanna a morte, oltre 2000 persone e dove, solo tra l’agosto 2014 e il giugno 2015, sono state eseguite 175 decapitazioni. Nel paese l’apostasia è già condannata con la pena di morte per gli uomini e l’ergastolo per le donne, e i condannati sono quindi spinti ad abiurare, andando incontro a lunghi periodi di rieducazione. Non esiste libertà di coscienza, e i diritti delle donne sono inesistenti; non possono nemmeno guidare. Lo stato è fondamentalista, e fondamentalista della specie peggiore: l’Arabia è la culla del wahhabismo, la corrente di pensiero islamica più retrograda, che il regime saudita esporta peraltro ovunque è possibile.
A questo punto, chi aspetta il Papa che predica tanto la misericordia e fra poco indice il Giubileo, ad alzare la voce in favore della libertà religiosa? O il Papa gesuita ha anche lui paura del mondo musulmano?

Carlo Franza

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