Fig.-25Con questa mostra le Gallerie degli Uffizi hanno voluto mettere in luce un episodio tanto appassionante quanto poco noto dell’oreficeria italiana tra Sei e Settecento, che trae la sua origine dalla ricorrenza di San Giovanni Battista, solennemente festeggiata a Firenze già in antico il 24 giugno di ogni anno, e dalle relazioni diplomatiche di Casa Medici che estendeva la sua influeFig.-17nza sull’ambiente curiale romano. Queste circostanze portarono nelle collezioni medicee una straordinaria raccolta di piatti istoriati d’argento, eseguiti su disegno dei più significativi artisti romani del tempo. Il cardinale Lazzaro Pallavicini, originario di Genova, volenFig.-15do porre la sua Casata ai vertici dell’aristocrazia romana, avviò le trattative per il matrimonio della nipote Maria Camilla con Giovan Battista Rospigliosi, nipote di papa Clemente IX, matrimonio che fu celebrato nel 1670 con la benedizione del Cosimo III dei Medici. Riconoscente per i molti favori ricevuti dal Granduca, il Cardinale aveva disposto, per legato testamentario, che il suo erede dovesse donare al Granduca fioreFig.-18antino e dopo di lui al suo primogenito un argento lavorato il cui valore ammontasse a trecento scudi e così fu fatto dopo la morte del cardinale, avvenuta il 20 aprile 1680. L’erede designato era il secondogenito di Giovan Battista Rospigliosi, Nicolò che avrebbe assunto il nome della Casata Pallavicini, mentre il primogenito Clemente Domenico avrebbe mantenutoFig.-16 il nome e i beni dei Rospigliosi.
A partire dal 1680 e per ben cinquantotto anni Cosimo III e il suo successore, il figlio Gian Gastone, ricevettero altrettanti pregiati bacili d’argento con storie che illustravano i fasti dinastici della Casata fiorentina. Solo per il primo anno, 1680, per il poco tempo a disposizione, la famiglia offrì un Fig.-9bacino già in loro possesso, del tutto simile ad altri noti, uno dei quali, oggi conservato nell’Ashmolean Museum di Oxford, esposto in mostra, offre un confronto con la memoria del piatto donato ai Medici. Le ricerche condotte in occasione della mostra hanno permesso di stabilire che negli anni immediatamente successivi ad occuparsi dell’adempimento del legato fu il cardinale Giacomo Rospigliosi, che si servì dei disegni di Carlo Maratti, tra i massimi esponenti della pittura romana della seconda metà del Seicento, disegni conservati a Chatsworth ed esposti in mostra. Alla morte del Cardinale Giacomo (1684) fu Giovan Battista Rospigliosi, in nome del figlio Nicolò in tenera età, a proseguire nelle volontà del Pallavicini, fino alla morte avvenuta nel 1722. Fig.-26Nel tempo l’elaborazione delle composizioni passò ai più valenti pittori al servizio dei Rospigliosi (Ciro Ferri, Pietro Lucatelli, Ludovico Gimignani, Lazzaro Baldi, Filippo Luzi, Giuseppe, Carlo e Tommaso Chiari), mentre dal 1700 furono spesso gli argentieri a progettare le tese. I disegni noti, provenienti da musei italiani ed esteri e da collezioni private, sono tFig.-24butti esposti in mostra. I nomi degli argentieri d’Oltralpe e romani, che sbalzarono e cesellarono l’argento dei bacini, sono emersi dai documenti degli archivi romani.
“I piatti di San Giovanni”, come sottolinea il direttore delle Gallerie degli thumbs_Fig.-2Uffizi Eike D. Schmidt “rappresentavano una celebrazione di Casa Medici, riconoscendone e testimoniandone i grandi meriti nel governo della Toscana attraverso il ricorso a figurazioni che riconducono a valori eterni e a fatti contingenti. Le ricerche condotte in questa occasione hanno portato a una lettura puntuale delle singole scene, sia per le figurazioni allegoriche che rispondono ai più noti repertori di iconologia, sia per le scene storiche esemplate su una profonda conoscenza degli avvenimenti. Si riallthumbs_Fig.-24aacciavano, tali virtuosismi orafi, ai fasti dinastici messi in figura negli affreschi di Palazzo Pitti, dalla ‘sala di Giovanni da san Giovanni’, dove la mostra è allestita sotto l’occhio vigile di Lorenzo il Magnifico, celebrato nei ‘piatti’ come politico, per le sue qualità diplomatiche, e come uomo di cultura, per l’Accademia Platonica, fino alle apoteosi di Pietro da Cortona e di Ciro Ferri nelle sale della Galleria Palatina.”

A Firenze gli argenti arrivati in dono a Cosimo III erano conservati gelosamente nella Guardaroba di Palazzo Vecchio, mentre quelli donati al tempo di Gian Gastone rimasero nella residenza di Palazzo Pitti. Estinta la dinastia medicea, nonostante il Patto di Famiglia stipulato il 31 ottobre 1737 fra Anna Maria Luisa Elettrice Palatina e il nuovo granduca di Toscana Francesco Stefano di Lorena, i piatti di San Giovanni, come tutti gli altri argenti, furono considerati una preziosa risorsa per ripianare il bilancio precario dello Stato toscano al fine di favorire le imprese militari. La difesa del patrimonio mediceo da parte dell’ultima dei Medici fu strenua, come dimostra il carteggio esposto ithumbs_Fig.-22n mostra, dove si fa esplicito riferimento ai ‘piattthumbs_Fig.-21i di san Giovanni’, visti come una celebrazione della sua Casata. I piatti, a parte i primi due sicuramente fusi per ordine lorenese, erano ancora presenti negli anni 1789 – 1791, quando vennero esposti nella sala delle medaglie della Galleria degli Uffizi, incorniciati come veri e propri quadri. Le esigenze di spazio e la scarsa considerazione in cui caddero ne decretarono la scomparsa.
Dei ‘piaFig.-11tti di san Giovanni’ sarebbe svanito anche il ricordo se la Manifattura Ginori di Doccia, per volontà del suo fondatore, il marchese Carlo Ginori, tra il 1746 e il 1748 non avesse fatto realizzare dall’argentiere Pietro Romolo Bini, già attivo nella Galleria dei Lavori, le forme in gesso tratte dagli originali in argento da cui sono derivati i calchi in gesso esposti in mostra. L’intento era probabilmente di trattenere la memoria della magnificenza dei bacini, prevedendone forse una traduzione in porcellana, anche se uno solo, il primo della serie, fu realizzato dalla manifattura, attualmente conservato nel Museo Duca di Martina di Napoli, è esposto in mostra. La fortuna dei bacili nella manifattura proseguì nell’Ottocento, dove alcuni di essi furono replicati in porcellana per l’Esposizione internazionale di Parigi del 1867, ma già a quella italiana del 1861 troviamo il primo piatto della serie abbinato ad un mesciroba tardobarocco, esposto in mostra, probabilmente con l’intento di evocare le “acquereccie” con vassoio di celliniana memoria. All’Esposizione di Torino del 1884 la Ginori registra le variazioni del gusto, ma continua a proporre i bacili seppur nella sola ripresa della tesa da abbinare a piatti riproducenti dipinti, con la funzione di cornice, come visibile dagli esemplari in mostra.
Oggi i calchi, donati molti anni fa dal marchese Leonardo Ginori Lisci alle Gallerie fiorentine, sono esposti nelle sale di Palazzo Pitti che accolgono il Tesoro dei Medici e sono l’unica testimonianza tangibile della magnificenza della perduta serie in argento.
Da questi nel 1999 è stata eseguita una versione con la tecnica dell’elettroformatura, utilizzata a scopo scenografico, con lo stesso fine con cui viene riproposta in mostra. Essa consente al visitatore di immaginare quale potesse essere la preziosità dell’omaggio fatto ai granduchi fiorentini, unitamente ad un video che spiega la complessità delle tecniche messe in atto dagli argentieri romani e dalla Manifattura Ginori di Doccia.

Carlo Franza

 

 

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