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La definizione di arte concettuale nel contesto dell’arte contemporanea  si deve a Joseph Kosuth che lo utilizzò verso la metà degli anni Sessanta del Novecento  per definire il suo obiettivo di un’ arte fondata sul pensiero e non più su un ormai frainteso ed equivoco piacere estetico.

Nel  1965  Kosuth realizzò l’opera Una e tre sedie che comprendeva una vera sedia, una sua riproduzione fotografica ed un pannello su cui era stampata la definizione da dizionario della parola “sedia”: l’artista si proponeva di richiamare lo spettatore a meditare sulla relazione tra immagine e parola  in termini logici e semeiotici. Comunque già nell’anno  1960, e probabilmente all’insaputa uno dell’altro, il catalano  Joan Brossa  aveva concepito il poema-oggetto Cerilla (fiammifero), che riuniva la parola “cerilla”, il disegno di un fiammifero e il fiammifero vero e proprio. Il meccanismo logico-semiotico è lo stesso in ambedue i casi. La rarefazione dei contenuti emozionali nell’arte perseguita dagli artisti concettuali arrivò ben presto anche a determinare la volontà di prescindere dall’opera d’arte in sé: l’idea e la riflessione subentrarono così al manufatto, all’oggetto, indipendentemente dal loro carattere tradizionale o innovativo.  Questa introduzione su ciò che è stata e su ciò che è ancora oggi l’arte concettuale serve ad immetterci nella bellissima mostra che Bruno Mangiaterra, italiano e  artista di focale  rilievo internazionale, ha messo in piedi a Milano nell’Ex-Studio di Piero Manzoni  in zona Brera, aperta fino al 22 febbraio. MANGIATERRA-IMMAGINE X SPED

E nell’Omaggio a Pier Paolo Calzolari come recita la nota in catalogo, qual’ è appunto questa mostra titolata “Gloria Mundi” e dedicata  all’artista italiano che è stato suo maestro e referente significativo dell’Arte povera, Mangiaterra inscena sequenzialmente l’immagine di una rosa sovrapposta  alla O  come fosse posta su un altare, su quella che miracolosamente è la “Parete Manzoni”,  iterando astrazioni di matrice metafisica ed esistenziale. E’ la rosa, ancor presente specialmente nell’iconografia della mistica cristiana, per la bellezza, il profumo, per il mistero della sua forma  e per il colore per lo più rosso, simbolo antichissimo dell’amore. A questa simbologia appartengono sia la coppa del  Graal,  sia la rosa celeste (Candida Rosa) della Divina Commedia di Dante, sia la rosa mistica delle Litanie. Ma fermiamoci qui perché già  Gertrude Stein diceva: “la rosa è una rosa, una rosa, una rosa”.

Il percorso concettuale che fin dagli anni Settanta del Novecento Bruno Mangiaterra va delineando, vive l’umiltà delle cose minute, anzi canta l’altrove che è qui, è il suo “gloria mundi”; nasce dall’unione di tratti formali e di elementi esistenziali o storici noti, condivisi, con un carattere assolutamente personale. Ciò è avvenuto e avviene per temi, temperatura, inclinazioni e intenzioni espressive, per muovere o rimuovere l’arte in sintonia in tutto e per tutto al proprio tempo. Le sue opere e le sue installazioni sono mosse da un’interrogazione verticale e assoluta, segretamente filosofica, sulla natura dell’esistenza, sui quattro elementi del mondo, e sulla consistenza della stessa realtà. Mangiaterra non è mai stato un artista alla macchia, mai disperso nell’assideramento politico e culturale, semmai carico sempre di quell’istanza etica che gli ha fatto realizzare attraverso il sentimento di vivere e scrivere con segni, forme e colori, come dai margini del tempo e della vita, un desiderio estremo di precisione, di esattezza, diciamo pure di verità. La realizzazione artistica ed estetica per Bruno Mangiaterra è solo il pretesto di una riflessione profonda, acuta, magmatica, mette il segno sulla capacità della parola poetica che spesso attraversa teleri, di toccare persone e cose, di alitare come per un soffio vitale e di salvaguardare la memoria della vita, di promuoverne il contatto. La fondamentale movenza elegiaca, l’iterazione dell’immagine, i ricordi dell’infanzia, del paese e della famiglia, i fotogrammi del paesaggio, il mare Adriatico, le sequenze di oggetti e loro particolari, la crescita politica e sociale, il vivere stesso nella sua transitorietà, non sono che il discorso testamentario e sapienziale dell’artista lauretano. rosa 2E’ in ciò il “gloria mundi”, in queste relazioni primarie fra il pensiero e la filosofia di Mangiaterra, per aver egli scosso il segno e l’immagine, per aver sfidato il simbolico. Il taglio delle immagini è secco, forsanche iperbarocco e per ciò attualissimo, deciso, volutamente aperto all’armonia, alla compiutezza, alla sensatezza della realtà, per via della simulazione, della metafora ed anche dell’allegoria. D’altronde è bene sapere che l’astrazione tende ad assimilare la rappresentazione, la simulazione tende a sovvertirla. E i nuovi codici che tappezzano l’arte di Bruno Mangiaterra, ad iniziare dalle sequenze concettuali che tengono conto del suo essere stato folgorato dall’incontro con le metodologie dell’arte contemporanea ormai aperta alle contaminazioni, con impressioni, spunti, riflessioni e ricordi, lascia pensare che ogni grande opera d’arte ha due facce, una per il proprio tempo e una per il futuro, per l’eternità.

Bruno Mangiaterra è nato a Loreto nel 1952. Negli anni dello studio pratica frequentemente artisti e critici d’arte contemporanea e nel contempo effettualizza il suo lavoro ed espone alle prime mostre. Fin dal 1973, studente all’Accademia di Belle Arti di Urbino, lavora ininterrottamente presentando il proprio lavoro in rassegne culturali personali e collettive, in Italia e all’ estero. Vive e lavora nelle Marche a Loreto (An). E’ docente di Discipline Pittoriche presso il Liceo Artistico “E. Mannucci ” di Ancona. E’ stato segnalato più volte da Giulio Turcato, ha pubblicato libri d’arte e cartelle di incisioni con testi poetici e filosofi contemporanei tra gli altri : Carla Clementi, Giacomo Luigi Busilacchi, Umberto Piersanti, Eugenio De Signoribus, Plinio Acquabona, Paolo Volponi, Gianni D’Elia, Giuseppe Cacciatore, Pasquale Venditti, Alessandro Catà, Francesco Scarabocchi, Graziano Crinella. Le sue opere sono presenti in numerose Collezioni pubbliche e private. Ha ideato numerose rassegne di Arte Contemporanea e convegni culturali per Enti e Istituzioni.

Hanno scritto di lui fra gli altri Giacomo Luigi Busilacchi (An), Carlo Cecchi (Jesi), Carla Clementi (An), Vincenzo Piermattei (An), Giancarlo Bassotti (Jesi), Mariastella Rizzo (Mi), Gualtiero De Santi (PU), Armando Ginesi (Jesi), Mariano Apa (Roma), Giorgio Verzotti (Mi), Toni Toniato (Ve), Carlo Melloni (Ap),Enrico Savini (Jesi), Daniela Bontempo (An), Eenzo Di Grazia (Firenze), Vittorio Erlindo (Mn), Pierre Restany (Mi), Giovanni Grassi (Sorrento), Donatella Gallone (Napoli), Grazia Maria Torri (Fo), M.Savini (Ap), E. Di Mauro (To), Roberto Lambarelli (Roma), Vittorio Rubiu (Roma), Giulio Turcato (Roma), Laura Monaldi (Ap), Bruno Ceci (Urbino), Lucilla Nicolini (An), Roberta Ridolfi (PU), Gabriele Perretta (Roma), Franco Jesurun (Trieste), Bruno Cantarini (Ancona), Luciano Marucci (Ap), Giovanni Bonanno (Palermo), Valerio Dehò (Bo), Massimo Raffaeli (An), Carlo Franza (Mi) Enrico Capodaglio (PU), Daniela Simoni (Fermo), Marck Delrue (Belgio). Ha vinto nel 2008 il Premio delle Arti-Premio della Cultura al Circolo della Stampa Milano. Nel 2011 è presente alla 54° Esposizione Internazionale d’arte della Biennale di Venezia, Padiglione Italia Marche.

Carlo Franza

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