2878-5267MilanoPalBreraBRERA ACCADEMIA APERTA.  Gran Concerto giovedì 11 luglio 2018 ore 22.00 nel Cortile d’Onore dell’Accademia di Brera. 

Aleksander Skrjabin, Prométhée, le “Poème du feu” op. 60, trascrizione di Gabrio Taglietti per 4 fiati, 5 archi, 3 percussionisti, 2 pianoforti e video mapping

Alessandro Melchiorre, Unreported, pocket opera per soprano, voci recitanti, ensemble, elettronica e video mapping su testo di Daniele Del Giudice

A completare il denso programma di inziative legate ad Accademia Aperta e ad arricchirne la giornata inaugurale, viene proposto un momento performativo e spettacolare con il concerto multimediale previsto per le ore 22.00 di giovedì 11 luglio presso il Cortile d’Onore del Palazzo di Brera in via Brera 28. Intitolato “Sinestesie. Musica e video mapping tra sperimentazione e impegno civile” e centrato su due importanti opere compositive rispettivamente del primo ‘900 e di oggi, l’evento propone un incontro appunto sinestetico e dialogico tra vari linguaggi artistici afferBrera-Museum-milanenti all’ambito visivo, sonoro e multimediale, dove all’esecuzione /ive verrà associato il trattamento elettronico del suono insieme alla sofisticata elaborazione di un tracciato visivo proiettato con la tecnica del video mapping sugli elementi pieni della facciata del Cortile Napoleonico. Lo spettatore potrà così assistere a una performance di forte sollecitazione polisensoriale dove la vista e l’udito sono invitati a interagire in una fruizione piena e gratificante. L’occasione è, per l’Accademia di Belle Arti di Brera, quanto mai significativa e preziosa, potendo offrire al pubblico presente un’esemplificazione particolarmente qualificata del lavoro didattico praticato nell’ambito delle nuove tecnologie dell’arte oltre che della continua ricerca di contaminazioni e di territori trasversali tra le diverse forme di espressione artistica. Coordinato dal Prof. Roberto Favaro vicedirettore dell’Accademia di Brera, lo spettacolo si inserisce nel ciclo di concerti intitolato “Suono e Arte 2019” organizzato dall’Accademia di Brera insieme all’Associazione Gli Amici di Musica/Realtà con il sostegno di SIAE — CLASSICI DI OGGI 2018-19.

083704504-936520b5-ee14-4851-8ca8-a616ca54e6c8Le opere scelte rappresentano, pur muovendo da premesse creative e contesti storici tra loro differenti, due casi esemplari di ricerca e di sperimentazione avanzatissime, attraversati da ispirazioni estetiche e da idealità civili di forte e coinvolgente intensità. Composto da Aleksandr Skrjabin nel 1910 per grande orchestra, pianoforte, organo, coro e tastiera luminosa, Prometeo, “Il poema del Fuoco” op. 60 rappresenta infatti il simbolo di una diffusa ricerca, sviluppata a inizio ‘900, di coniugazione e interscambio non solo metaforici tra la musica e le diverse discipline dell’arte oltre che tra i diversi ambiti sensoriali. Proposto qui in una trascrizione del 2019 per 4 fiati, 5 archi, 3 percussionisti, 2 pianoforti realizzata dal compositore Gabrio Taglietti, il capolavoro di Skrjabin prevede infatti, nella sua utopistica e visionaria ideazione d’origine, una tastiera luminosa progettata per tradurre e associare determinate frequenze sonore in fasci di luce colorata. La pionieristica ambizione del compositore russo trova oggi una naturale espansione realizzativa nella tecnologia di proiezione più avanzata del video mapping.

Presentato qui in prima esecuzione, Unreported, pocket opera per soprano, voci recitanti, ensemble ed elettronica scritta da Alessandro Melchiorre su testo di Daniele Del Giudice, è la rielaListenerborazione approntata dallo stesso autore di Unreported inbound Palermo andata in scena in forma oratoriale in prima assoluta nel 1995 alla Biennale Musica di venezia, nel 1996 in versione radiofonica per il Prix Italia (menzione speciale della giuria), nel 1997 presso la Pocket Opera di Nùrnberg, infine nel 1998 nella grande versione scenica del Teatro Comunale di Bologna. Il testo dell’opera musicale è basato sul capitolo, dal titolo omonimo, contenuto nel volume Staccando l’ombra da terra (Einaudi Editore) di Daniele Del Giudice, opera letteraria che tratta uno dei più dolorosi e irrisolti misteri italiani: l’abbattimento del volo ITAVIA 870 sui cieli di Ustica nel 1980. L’esecuzione del Prometeo di Skrjabin è affidata a Icarus Ensemble con Diego Petrella pianoforte solista e la direzione di Juan Trigos. Partecipano alla rappresentazione dell’opera di Melchiorre il soprano Joo Cho, le voci recitanti Cinzia Pietribiasi e Pierluigi Tedeschi, il direttore Juan Trigos, Icarus Ensemble. La regia del suono è di Giovanni Cospito, con la partecipazione degli studenti del Master SoundArt del Consorzio Ard&nt Institute (Accademia di Brera — Politecnico di Milano), Ni Ben, Marius Lawler Berardinelli, Marco Gentilini, Yang Linging, Jessica Moscaritolo. Il video mapping è a cura di Marco Pucci e Alex Kavyuela, con il supporto di Paola Di Bello e la partecipazione degli studenti Alessia Amato, Flavia Amato, Cristina Angeloro, Thomas Bentivoglio, Lucrezia Berardi, Simone Panzeri, Irene De Luca, Debora Dorata, Edoardo Guarnieri, Giada Lanzotti, Chiara Longo, Fiorella Minnucci, Ajanta Noviello, Francesco Perrini, Evelin Vicedomino.

Aleksandr Skrjabin, Prometeo, “Il poema del fuoco”

Esistono pochi autori impegnati come Aleksandr Skrjabin all’inizio del Novecento nella ricerca approfondita e concreta sulle possibili relazioni sinestetiche tra universo sonoro e mondo visivo inteso sia dal punto di vista del colore sia da quello della luce. | suoi interessi in questo campo convergono in una serie di lavori su cui svetta, vero e proprio emblema per quegli anni di entusiasmanti ricerche sincretiche e poi per l’intero Novecento, Prométhée, le “Poème du feu”, per grande orchestra, pianoforte, organo, coro e tastiera luminosa op. 60, imponente opera sinfonica iniziata a Bruxelles nell’aprile del 1909 e terminata a Mosca nell’autunno dell’anno seguente. Eseguita per la prima volta il 15 marzo del 1911 presso la Sala Grande del Conservatorio Cajkovskij di Mosca sotto la direzione di Sergej Koussevitzky, rappresenta il culmine di una serie di interessi via via più pressanti del compositore russo da un lato per gli aspetti legati all’estatica dottrina teosofica, dall’altro per le corrispondenze tra certi suoni e determinati colori che percepiva durante l’ascolto, dunque per il fenomeno realmente psichico e non puramente metaforico della sinestesia. Nel corso delle sue ricerche, Skrjabin apprende dell’esistenza di una speciale tastiera, progettata dallo scienziato inglese Wallace Rimington, in grado di associare suoni e colori. Da qui nasce l’idea di includere questo particolare tipo di strumento nel suo nuovo progetto sinfonico e di approfondire questo piano di relazioni percettive persino stabilendo in partitura, con tanto di notazione, una parte supplementare denominata “luce” e destinata ad attivare non un evento acustico bensì il sistema di controllo di un dispositivo elettroluminoso in grado di pervadere lo spazio esecutivo e d’ascolto di luci colorate in base a una precisa traccia prescrittiva. Commissionata da Skrjabin ad Aleksander Mozer, fotografo e professore di elettromeccanica alla Scuola di Istruzione Tecnica Superiore di Mosca, questa speciale tastiera consta di dodici lampadine colorate collocate su un supporto di legno circolare e collegate per l’accensione a dei pulsanti che corrispondono a 12 tonalità sonore (Do-rosso, Fa-rosso scuro, Sib-Rosa, Mib-color carne, Lab- lilla, Reb-porpora, Fa diesis-viola blu, Si-blu perla, Mi-azzurro, La-verde, Re-giallo, Sol-arancio). La realizzazione del particolare apparecchio giunse a termine però solo alcuni mesi dopo la prima esecuzione del 15 marzo del 1911 che risulterà dunque priva di una fondamentale componente, restituita invece nella sua completezza sinestetica solo nella prima esecuzione newyorkese del 20 marzo 1915. La scelta di Skrjabin di dedicare alla figura di Prometeo il nuovo progetto sinfonico nasce in seno alle frequentazioni dei circoli teosofici di Bruxelles. È infatti presso lo studio dell’amico pittore Jean Deville che il musicista russo nota un quadro dedicato alla figura mitica del portatore di fuoco. Sarà poi lo stesso Deville a realizzare l’immagine prometeica nella copertina della partitura pubblicata dalla Édition Russe de Musique di Mosca nel 1911. Dal punto di vista musicale, il Prometeo skrjabiniano conferma e approfondisce la tendenza già annunciata ad abbandonare il campo tonale giungendo però alla definizione di un campo armonico inedito e originale, il cosiddetto “suono centrale”, un accordo “sintetico” sestuplo determinato dalla sovrapposizione di cinque intervalli di quarta. Ne scaturisce un accordo originalissimo, non a caso denominato accordo Promethée, raffigurante nel Poema di Skrjabin il caos originario. La successione dei temi e dei relativi campi armonici, oltre ad accompagnarsi alle specifiche declinazioni coloristiche nel corso dell’opera, raffigurano anche specifiche qualifiche contenutistiche come l’introduttiva “creatività” basata sull’accordo Prométhée, la “volontà creatrice”, la “volontà operante”, la “comprensione”, l’“affermazione”, per giungere infine di nuovo, a conclusione dell’intero tragitto di suoni e luci, dopo un’avvolgente danza cosmica, all’accordo Prométhée che si espande come simbolica purificazione accompagnato dall’intenso blu della luce. Non meno affascinante dell’originale, sempre per via dei rimandi sinestetici e per le corrispondenze tra suoni e immagini di colore e luce, la trascrizione per due pianoforti approntata nel 1913 dal compositore e musicologo moscovita Leonid Sabaneev, primo massimo studioso dell’opera di Skrjabin.

L’attuale trascrizione del Prometeo è stata realizzata del compositore Gabrio Taglietti nel 2014 e rivista nel 2019. Taglietti ha ridotto l’imponente organico orchestrale dell’originale a 14 strumenti: 4 fiati (flauto, oboe, clarinetto, tromba), 5 archi, 3 percussionisti e 2 pianoforti. La parte del pianoforte solista rimane inalterata mentre molto materiale viene riassunto su di un secondo pianoforte. Anche la parte del coro, ad libitum nell’originale ma di grande effetto, può essere eseguita sia da cantanti che da un campionamento su tastiera. La partitura luminosa, di cui Taglietti ha realizzato una parte dettagliata, verrà per l’occasione reinterpretata dagli studenti dell’Accademia di Brera tramite video mapping. (ROBERTO FAVARO)

Alessandro Melchiorre, Unreported La fortuna di Unreported inbound Palermo, da cui deriva — per sintesi e “a forza di levar” — Unreported qui eseguito in prima assoluta, è testimoniata non solo dal numero di esecuzioni in Europa ma anche dalle diverse versioni che dal 1995 ad oggi si sono succedute. Il testo dell’opera musicale è basato sul capitolo, dal titolo omonimo, contenuto nel volume Staccando l’ombra da terra di Daniele Del Giudice; opera letteraria che tratta uno dei più dolorosi e irrisolti misteri italiani: l’abbattimento del volo ITAVIA 870 sui cieli di Ustica nel 1980. Melchiorre scrive la prima versione nel 1995 per la Biennale Musica di Venezia. In forma d’oratorio, visibili al pubblico: cantanti, strumentisti, sound designer, voci recitanti e un narratore, un historicus al quale è affidata la cronaca dei fatti che seguirono l’abbattimento dell’aereo: il recupero dei resti del velivolo e la sua ricostruzione in un hangar a fini giudiziari. Le conversazioni di servizio tra torri di controllo e pilota, puntualmente riportate dalla partenza da Bologna fino al momento della scomparsa dell’aereo dai radar, definiscono invece l’’impalcatura sulla quale la drammaturgia del libretto costruisce il proprio pathos e la memoria collettiva di un’intera nazione. Una memoria dove la verità è affidata agli unici sopravvissuti: i resti dell’aereo. | tempi che intercorrono fra una conversazione e l’altra tra l’aereo e le torri di controllo, diventano gli spazi nei quali emergono gli oggetti e i resti dell’aereo con le loro flebili verità. Il tempo lineare del resoconto si interrompe per lasciar spazio ad un tempo immobile, che con le proprie considerazioni unisce l’oggi di chi ascolta al passato della cronaca, che ormai è Storia d’Italia. All’interno di questa struttura generale del libretto, basata su due piani, Melchiorre introduce il canto femminile, il coro, gli strumenti e l’elettronica, che costituiscono tutti assieme la drammaturgia musicale, quella che va al di là delle parole e che si esprime attraverso i suoni. La comune esigenza di Melchiorre e Del Giudice di trovare una dimensione formale peculiare capace di trasformare i dolorosi contenuti della cronaca in arte risulta particolarmente efficace in questo intersecarsi di piani e di linguaggi, che riconsegnano al pubblico un’opera omogenea e di forte impatto emotivo. Il testo di Del Giudice restituisce un quadro oggettivo. | diversi registri narrativi disorientano volutamente proprio per questo: non si indulge mai all’affettività, alla pur lecita rabbia. L’aereo descritto da Del Giudice parrebbe un aereo fantasma, senza passeggeri. Melchiorre, sentirà successivamente l’esigenza di sottolineare anche con la parola quel dramma esplicitato con forte emotività attraverso la musica e chiederà a Del Giudice di scrivere per la versione scenica del 1998 due parti aggiuntive: il Cantico degli oggetti e quello dei doveri. In particolare, è nel Cantico dei doveri che Melchiorre ridà voce ai parenti. Questa sezione è tutta basata sull’anafora, la ripetizione martellante del verbo ‘dovere’ al quale seguono tutte quelle azioni che sono esplicitazione del dolore di un percorso umano vissuto per quasi un quarantennio: aspettare, credere, attendere, accettare, convivere, immaginare, lottare, sopportare, bussare alle porte del Potere. L’impianto di base della prima veneziana del 1995 è mantenuto anche nelle versioni successive che il compositore rielabora e amplia. Data 1996 la versione radiofonica per il Prix talia; del 1997 è quella per la Pocket Opera di Nùrnberg, che prelude alla grande versione scenica per il Teatro Comunale di Bologna del 1998. L’ultima è quella odierna, riscritta nel 2019. Essa si basa prevalentemente sulla versione veneziana del 1995, che il compositore ha qui sottoposto a revisione molto ampia. Per quel che riguarda la struttura dell’edizione 2019 va sottolineato il recupero di una parte del Cantico dei doveri, presente nella versione bolognese ma assente in quella proposta alla Biennale. Un recupero che non è mero assemblaggio ma riscrittura drammaturgica e musicale. Ridefinisce sonoramente, anche togliendo, ciò che a livello scenico era supportato precedentemente dal gesto degli attori, che nella versione bolognese, proprio durante il Cantico dei doveri, cercano di abbattere un muro di scatoloni, plastica rappresentazione del muro di gomma che ostacola il raggiungimento della verità. Ineludibile la presenza dell’elettronica, il ‘lato opaco della memoria’, il cui sound design è affidato a Giovanni Cospito. In questa proposta milanese una ulteriore novità assoluta: le proiezioni sui muri degli edifici del cortile del video mapping, appositamente predisposto dai visual artist di Brera per questa esecuzione musicale.(MAURIZIO TASSONI).

Nota dell’autore

Il primo contatto con Unreported inbound Palermo è avvenuto a casa di Daniele Del Giudice a Venezia, anni fa; ricordo che avevamo appena finito di ascoltare il radio-dramma Da un atlante occidentale (la nostra prima collaborazione, derivata dall’omonimo testo, per una serie di radiofilm per RAI-Radio Tre) quando Daniele mi propose la lettura di un capitolo del suo prossimo libro, ancora in bozze, che sarebbe comparso di lì a poco in libreria.

Si trattava del capitolo su Ustica di Staccando l’ombra da terra (in un libro molto bello dedicato al volo come si poteva tacere una tragedia che è anche una tragedia del volo?) che, ricordo, mi emozionò molto. Dipanando poco alla volta le ragioni di quelle emozioni mi resi conto che non era soltanto una fortissima e condivisa passione civile (la denuncia di una strage rimasta inspiegata e impunita in questa Italia del dopoguerra) ma una compenetrazione profonda tra ragioni e emozioni, tra forma e contenuto, una capacità assolutamente moderna di scrivere di avvenimenti tragici, una tragedia vista non più soltanto dal punto di vista dell’uomo ma rinnovata, per così dire, dal punto di vista delle cose, non soltanto la crisi del soggetto, ma anche la mutazione degli oggetti. (| testi in corsivo che seguono sono di Daniele Del Giudice). “…il ‘mondo dell’io’ andava in pezzi, ma non ci si accorgeva di quanto contemporaneamente, stesse andando in pezzi il ‘mondo delle cose’… I-TIGI, sigla dell’aereo abbattuto su Ustica, diventa il nome di un popolo mitico che, poco a poco, pezzo dopo pezzo, riemerge dal mare: “quell’evento è un’ossessione. È come una creatura mitica che riemerge dal mare e si ricompone. E più l’aereo torna completo, maggiore è l’angoscia e l’evidenza per quel che non c’è, per quelle persone che non esistono più e che non hanno ottenuto giustizia. Un modo per far sentire l’assenza fisica e per gridare che qualcuno conosce il segreto, ma tace. L’occultamento è cambiato…”

Il pezzo è diviso in quattro parti che si succedono senza soluzione di continuità e segue il testo di Del Giudice nella progressiva intensificazione drammatica; al coro (stasera in versione elettronica), e alla voce recitante femminile, (che nei dialoghi con il flauto e con gli altri strumenti dell’’ensemb/e introduce i diversi momenti) è affidata la narrazione, alla voce recitante maschile le parole dei diversi controllori di volo e al soprano le parole del pilota. All’inizio di ogni parte il coro canta da solo, è protagonista della scena musicale e ogni volta riporta in primo piano la sua identificazione con l’aereo e con la sua variante mitica, |-TIGI.| due testi (il dialogo e la narrazione) seguono temporalità diverse — con i termini dell’informatica diremmo tempo reale e tempo differito — e sono tra loro collegati dall’elaborazione elettronica che pone in relazione idue mondi mediante scambio e transizione di fonemi vocalici o attacchi consonantici significativi. Il coro e l’elaborazione elettronica si occupano così più che di ciò che accade, più che degli avvenimenti, del loro apparire e del loro scomparire, dell’aura che li annuncia e della risonanza che li ricorda. “credo nella velocità dell’ossessione, ma anche nella lentezza con cui la sensibilità elabora il dolore…” Il ruolo svolto dall’elettronica nel brano è di fondamentale importanza nel caratterizzare le deformazioni di una percezione lineare degli avvenimenti, deformazioni che accompagnano spesso la consapevolezza, la percezione stessa che abbiamo delle cose, deformazioni che costituiscono il lato opaco della memoria, ciò che si potrebbe chiamare il “rumore” del ricordo. La versione che verrà ascoltata questa sera — in prima assoluta — per molti versi è sintesi e rifacimento integrale di parti presentate alla Biennale di Venezia, al Comunale di Bologna e alla Pocket Opera di Norinberga. Un grazie di cuore a Daria Bonfietti, Roberto Favaro e Marco Pedrazzini (e a tutto l’Icarus Ensemble) che in questo periodo di fake news hanno creduto in un progetto basato sulla ricerca della verità, sul “dover lottare per la verità”.

Alessandro Melchiorre

frammenti si ricompongono

Come in un racconto mitico e moderno Unreported inbound Palermo narra in musica la caduta del DC9 ltavia precipitato nel mare di Ustica il 27 giugno 1980 quasi certamente abbattuto da un missile. Non si è mai scoperto l’aereo militare che lo lanciò causando la morte di ottantun persone tra passeggeri e equipaggio. Dal mare il relitto fu ripescato pezzo dopo pezzo a tremilasettecento metri di profondità, e ricomposto in un hangar militare. La musica, il canto e i recitativi seguono l’evento in tono epico e accorato con una drammaturgia “a croce”: mentre il volo dell’aereo procede dal decollo da Bologna fino all’ultimo istante cantato dal soprano in duetto con le voci recitanti e coro sul filo delle comunicazioni tra piloti e controllori a terra, i frammenti dell’aereo si rirompongono uno dopo l’altro nell’hangar; frammenti di metallo, catalogo di oggetti, che somiglia appunto a un testo da ricostruire e ricondurre a un significato, un testo disperso e ritrovato (“do you read?” l’appello disperato che ricorre nelle chiamate vane dei controllori di volo e che nelle formule aeronautiche significa ricevete?, si sovrappone così al valore usuale della frase /eggete? sapete interpretare?) Quando anche l’ultima parte della fusoliera, l’ultimo reperto meccanico, vengono fatti aderire al simulacro dell’aereo, il racconto del volo giunge al proprio termine con la deflagrazione finale e il silenzio delle voci che accompagna la percezione irrevocabile della tragedia. Si compie così la storia dei Tigi.

TIGI erano le “marche” aeronautiche del DC-9 caduto. | Tigi che furono prima un volo di linea, poi una scia di relitti lunga una decina di chilometri nella “fossa” del Mediterraneo poi un popolo di dispersi, scomparsi, ombre e infine un involontario monumento funebre attorno al quale nell’hangar i parenti delle vittime si riuniscono per chiedere giustizia e accertamento della verità. L’incredibile presenza fisica dell’oggetto riemerso dalle acque — “Che ne sanno gli oggetti delle trame e delle azioni? che ne sanno dei mandanti e degli esecutori, gli oggetti sono lì. L’aereo conosce la sua storia, quanti la conoscono al mondo? in mancanza di parole sarebbe una storia di cose” — rende ancor più crudele, dolorosa e inconcepibile l’assenza delle persone che conteneva al proprio interno.

Nato come capitolo di Staccando l’ombra da terra, romanzo apparso nel 1994, Unreported inbound Palermo diventa nella partitura e nella ampia tessitura musicale e fantastica di Alessandro Melchiorre un’opera di grande tensione emotiva e drammaturgica, nella quale temi del mistero, del destino della tecnica, e della responsabilità morale delineano una modernissima dimensione artistica e civile. (DANIELE DEL GIUDICE)

Il lato opaco della memoria. Il ruolo dell’elettronica in Unreported

Il ruolo che svolge l’elettronica nell’opera Unreported di Alessandro Melchiorre è duplice. Il primo è funzionale, ovvero legato alle particolari caratteristiche dello spazio acustico in cui si svolge l’opera, le cui dimensioni sono tali da rendere impossibile l’ascolto al naturale di voci e strumenti.Vidolin-smallIl secondo è prettamente musicale in quanto vuole corrispondere al processo di deformazione degli eventi che si sedimentano nella memoria; processo tramite il quale essi perdono la logica sequenziale dei fatti per essere filtrati e rielaborati secondo il loro contenuto emotivo e una scansione del tempo diversa da quella reale. “Tali deformazioni”, come esprimeva l’autore già nella fase di ideazione dell’opera, “accompagnano spesso la consapevolezza, la nostra percezione delle cose, costituendo il lato opaco della memoria, ciò che si potrebbe chiamare il ‘rumore’ del ricordo”. Da questa idea di deformazione legata ai processi di sedimentazione della memoria si è partiti per definire i processi di elaborazione compositiva del materiale sonoro prodotto con strumenti elettronici, di cui, per semplicità espositiva, presentiamo solo i principali e in forma di processi singoli, anche se, nella attuazione dell’opera interagiscono spesso fra di loro con le varianti imposte dalla partitura. Processi addizionali: la tavolozza timbrica dell’ensemble vocale e strumentale è stata arricchita con una ricerca di materiale sonoro che sia dal punto di vista timbrico che dal punto di vista della percezione acustica degli spazi sonori, andasse a risolvere una serie di esigenze compositive dell’autore. Sono stati elaborati in tempo differito e con vari processi, una serie di materiali sonori di origine acustica e sintetica, lavorando molto sia sulle densità e l’impatto sonoro (ad esempio i pedali di interpunzione con attacco forte dell’elettronica), che su continuum timbrici legati all’ambientazione sonoro (ad esempio gli interludi elettronici fra gli atti). Uno dei processi più evidenti è stato quello della interpolazione timbrica fra materiale vocale e materiale elettronico, un morphing che attraversa lentamente tutta l’opera e che diventa evidente solo alla fine dell’opera quando le voci femminili e quelle dei mark tree sembrano liquefarsi lentamente in suoni elettronici con essi fortemente ibridati; suoni interlocutori e sospesi che chiudono l’opera.

Processi di interazione: consistono fondamentalmente di fasce sonore, prodotte sinteticamente, sensibili alle dinamiche di alcuni strumentisti solisti. L’algoritmo di sintesi è una modulazione di frequenza con modulante aleatoria che opportunamente controllata produce in tempo reale sia fasce di rumori mobili che strutture timbriche pseudo armoniche; queste si stagliano intorno ad un orizzonte acustico relativamente statico e deviano significativamente da questo in relazione alle escursioni di dinamica di alcuni dei solisti strumentali. Processi di trasformazione: questi processi sono di tre tipi ed avvengono rispettivas200_giovanni.cospito.jpg_oh_678c077b63734a757fd5b4a5a865aab6_oe_574348f9mente nella dimensione del timbro, del tempo e dello spazio. Nella dimensione del timbro un algoritmo di elaborazione in tempo reale cattura le masse sonore dell’ensemble strumentale e tramite un sistema di filtri impone a queste masse profili timbrici tipici dei suoni vocoidali seguendo il processo inverso dei suoni elaborati in tempo differito dove dalla voce per interpolazione si arrivava ad altri timbri, qui dalla massa acustica di suoni strumentali si arriva, sagomando i profili formantici degli spettri timbrici, a suoni pseudo-vocali. Nella dimensione del tempo l’elaborazione viene usata soprattutto per potenziare le possibilità polifoniche degli strumenti a percussione: con strutture varianti di de/oy temporali e di trasposizioni d’altezza Nella dimensione della spazio il lavoro è rivolto alla creazione di una olofonia, di una immersione dello spettatore nei suoni dell’opera dove l’unico polo spazialmente statico è costituito dall’ensemble strumentale, mentre sia i solisti che il coro si muovono e i loro suoni sono mossi anche dalla elaborazione elettronica. Ovviamente il massimo di mobilità spaziale è dato dai suoni elettronici o elaborati elettronicamente. La concezione di uso della spazializzazione non è stata solo quella del muovere punto per punto un oggetto sonoro, ma di pensare anche a masse sonore che invadono dinamicamente lo spazio e che si caratterizzano per intere aree di risonanza nello spazio. Di estremo interesse è stata la ricerca della associazione appropriata fra tipi di suoni prodotti e loro comportamento spaziale.

La struttura degli apparati elettronici mobilitati per l’esecuzione può essere così descritta: un impianto di amplificazione audio multicanale, un sistema dedicato alla esecuzione di audio file con live list, un sistema in tempo reale per l’interazione fra suoni sintetici e dinamica strumentale, un sistema in tempo reale per le trasformazioni timbriche e nel tempo, un sistema di spazializzazione. Tutto il sistema è configurato in modo tale da disporre del massimo di duttilità nella esecuzione dal vivo per permettere una totale aderenza al gesto del direttore e quindi alla esecuzione strumentale.(GIOVANNI COSPITO e ALVISE VIDOLIN )

BIOGRAFIE

Aleksandr Skrjabin (Mosca, 6 gennaio 1872 — Mosca, 27 aprile 1915) è stato un compositore e pianista russo, la cui produzione si colloca a cavallo fra il periodo tardo-romantico e la sperimentazione novecentesca. Nato da una famiglia aristocratica, iniziò lo studio del pianoforte in tenera età, prendendo lezioni da Nikolaj Zverev, insegnante severo e maestro anche di Sergej Rachmaninov, nella cui casa erano spesso ospitati musicisti contemporanei come Cajkovskij. Studiò poi composizione al Conservatorio di Mosca con Anton S. Arenskij, A. Sergej Taneev e Vasilij Il’ié Safonov. Nell’ambiente del Conservatorio subì il fascino delle esperienze mistiche ed estatiche del decadentismo letterario russo, in particolare del filosofo- poeta Mere?kovskij. Dal 1892, grazie all’appoggio dell’editore Beljaev, intraprese una serie di brillanti tournées in Europa, ovunque applaudito interprete delle proprie musiche, nonostante la dimensione delle sue mani, piuttosto piccole. Tuttavia, sentendosi da meno di Rachmaninov, che aveva mani eccezionalmente grandi, ed entrato in competizione con un altro studente aspirante virtuoso del conservatorio, Skrjabin si danneggiò gravemente le articolazioni della mano destra con un intenso studio sulle 32 Sonate di Beethovene le difficili fsfamey di Balakirev e Fantasia sul Don Giovanni di Liszt. Il suo medico decretò l’irreparabilità del danno alla mano destra, e in quell’occasione Skrjabin scrisse uno dei suoi capolavori: la Sonata in fa minore, e successivamente il Preludio e Notturno op. 9 per mano sinistra sola. A causa della sua insofferenza verso le composizioni obbligate, in forme che non lo interessavano, Skrjabin fu respinto all’esame di composizione, e non si diplomò. Nel 1908-1910 fu a Bruxelles, dove frequentò circoli esoterici e teosofici; a questo periodo risale il Prometeo (Poema del Fuoco), il suo lavoro più “visionario”, alla ricerca di una sintesi estetica fondata sulle relazioni tra suoni e colori tanto che redige una sorta di formulario di corrispondenze tra le note musicali ed i colori con i relativi significati. Verso la fine della sua vita Skrjabin si avvicinò sempre di più al misticismo. Egli sosteneva infatti che un giorno il calore avrebbe distrutto la terra: una teoria sulla quale si basa Vers /a flamme op. 72, composizione nella quale un calore sempre più spaventoso distrugge ogni sorta di riferimento armonico e tonale. Nel 1910 Skrjabin si stabilì definitivamente a Mosca, dove la morte per setticemia troncò il suo progetto di un Misterium che avrebbe fuso tutte “le seduzioni dei sensi” (suoni, danze, luci e profumi) in un rituale da celebrare in un tempio emisferico. Gli aspetti esoterici e misterici sono, in realtà, tratti marginali di una produzione (soprattutto pianistica) che per molti aspetti è tra le più singolari del suo tempo e che rivela geniali intuizioni che avranno influenza anche sullo sviluppo della musica europea. Totalmente estraneo alle istanze della musica nazionale russa, le prime composizioni di Skrjabin risentono dell’influenza di Chopin, anche per quanto riguarda la forma; poi la sua opera compositiva si evolve verso una sempre maggiore originalità, armonie e colori inusuali. È possibile seguire l’evoluzione dello stile di Skrjabin attraverso le 10 Sonate per pianoforte: in stile tardo-romantico le prime, influenzate da Chopin e Liszt, alla ricerca di un nuovo linguaggio le ultime. Nella ricerca di un’equiparazione tra armonia e melodia, tra la struttura verticale e quella orizzontale di una composizione, Skrjabin anticipa una tecnica seriale (ne è un esempio il cosiddetto “accordo mistico” di sei suoni, costruito per sovrapposizione di quarte di vario tipo, eludendo i cardini tonali). Infine, se l’impianto formale delle composizioni conserva gli schemi sonatistici e sinfonici ereditati dall’Ottocento, Skrjabin li espande e li ingigantisce attraverso la timbrica e la densità delle elaborazioni tematiche.

Alessandro Melchiorre è nato in Liguria (Imperia, 1951), ma la sua carriera si è svolta prevalentemente a Milano: qui si è laureato in Architettura al Politecnico, compiendo parallelamente gli studi di composizione presso il Conservatorio (si diploma in seguito alla Hochschule di Freiburg im Br. con Brian Ferneyhough e Klaus Huber). La frequentazione del DAMS di Bologna (si laurea con Luigi Rognoni) è all’origine della sua produzione saggistica, che comprende scritti su Schumann, Schénberg e l’Espressionismo, Grisey, Xenakis. Frequentato dalle principali rassegne di musica contemporanea, annovera nel suo catalogo alcuni interessanti titoli operistici come Schwe/le, basata sui Sonetti a Orfeo di Rilke; At/ante occidentale e Unreported inbound Palermo (su testi di Daniele Del Giudice, dapprima in forma oratoriale alla Biennale di Venezia del 1995, poi in forma scenica come coproduzione tra Teatro Comunale di Bologna e Pocket Opera Nùrnberg, menzione speciale della giuria al Prix Italia del 1996), il Mine-haha di Wedekind, nella rielaborazione di Daniela Morelli (anch’esso successivamente approdato alla versione radiofonica, con Ottavia Piccolo per la RSI, 2003) e // Violino, il soldato e il diavolo, pièce di “teatro su nero” liberamente ispirata alla Histoire du soldat di Stravinskij, scritto per il Teatro del Buratto nel 2004. Tra i suoi ultimi brani due cicli, Lost and found (per due strumenti, 2006) e gli studi dal titolo Figurazione dell’invisibile (Wien Modern 2000, Rondò Milano 2007). Importante nella musica di Melchiorre è la presenza o l’ispirazione dell’elaborazione elettronica: in questo si vedono le frequentazioni dei Ferienkurse di Darmstadt (premio Kranichstein per A Wave) e dell’Ircam parigino (Le città invisibili, Ensemble InterContemporain-IRCAM,  D.Robertson), solo per citarne due tra le più significative. Suo scopo dichiarato è quello di unire nella scrittura musicale la penna e il computer, intesi dal musicista come due paradigmi, due modi di pensare la musica diversi, ma che è necessario, seppure difficile, integrare. Ha recentemente scritto Lost and found, cretto per Milano Musica 2006, Angelus novus per voce e ensemble, 2007 e Silenzio per recitante, voci e ensemble su testo di Yasunari Kawabata (Festival MiTo, 2007). Di notevole importanza l’ultima opera // Maestro di Go, ancora su libretto tratto dal romanzo omonimo di Yasunari Kawabata, commissionata dall’Arena di Verona e andata in scena nell’ottobre 2008 con la regia di Elisabetta Brusa e la direzione di Yoichi Sugiyama; nel Festival MiTo 2009 ha presentato Terra incognita (seconda) per l’ensemble Risognanze diretto da Tito Ceccherini. . Nel Festival Milano Musica del 2010 è stata presentata l’ultima versione di Lontanando per orchestra (Orchestra Verdi diretta da Daniel Kawka). Biue Fable per ensemble è stato eseguito alla Biennale 2012. Dal 2013 al 2016 è stato Direttore del Conservatorio di Musica G. Verdi di Milano. inventario per grande orchestra (commissione Orchestra Verdi — Milano, diretto da Francesco Bossaglia) è del 2018.

Juan Trigos, compositore e direttore d’orchestra (Città del Messico, 1965). Prolifico compositore creatore del concetto Folklore Astratto. Tra le sue composizioni più rilevanti si trovano cinque opere, quattro sinfonie e una breve, tre Cantate Concertanti, Concerti per clarinetto, contrabbasso, piccolo, due per chitarra e uno per quattro chitarre e uno triple (flauto, clarinetto e piano), a parte di varia musica da camera e per soli. La sua musica è stata eseguita in città di diversi paesi del continente americano, Europa e Giappone. Come direttore d’orchestra ha eseguito prime mondiali e promosso numerose composizioni per medio di esecuzioni in vivo e registrazioni con diversi cori, ensemble e orchestre sinfoniche di differenti parti del mondo. Come direttore titolare della Sinfonica de Oxaca ha registrato per iTinerant, quattro dischi compatti monografici dei compositori Mabarak, Rasgado, Trigos e Villasefior. Come titolare della Orquesta Sinfonica de Guanajuato ha registrato per Recording Consort-Quindecim, cinque dischi compatti con musica di Chàvez, Gutiérrez Heras, Lavista, Quintanar, Someso, Vidaurri e propria. È stato direttore principale dell’Eastman BroadBand Ensemble (NY, USA), con il quale ha realizzato molteplici tour internazionali negli Stati Uniti, Italia e Messico e ha registrato per Bridge Records e Urtext, due dischi monografici con musica di Ricardo Zohn-Muldoon e Carlos Sanchez-Gutiérrez, rispettivamente. È stato anche titolare dell’Orquesta de Camara de Bellas Artes (Città del Messico), direttore principale ospite della Camerata de las Américas e fondatore e direttore artistico della Sinfonietta de las Américas. Con questa ultima ha registrato tre dischi compatti con musica di Gerhart Muench, per le compagnie Global Entertainment e BMG Entertainment. Ha organizzato e prodotto il Festiva/ International de Musica Contemporanea Franco Donatoni a Città del Messico (1993-96), il quale ha havuto una grande affluenza di compositori, ensemble e solisti nazionali e internazionali. È stato maestro di composizione dell’Instituto Cardenal Miranda e nella Universidad de Guanajuato. Ha impartito corsi e seminari di composizione e ha dato conferenze sulla propria musica in Canada, Costa Rica, Stati Uniti, Europa e Messico. La sua esperienza come maestro di composizione include l’essere stato assistente di Franco Donatoni. Attualmente membro del Sistema Nacional de Creadores de Arte de México (lo è stato in varie occasioni) e membro dell’ASCAP (USA). Grazie alla sua distinta carriera internazionale come compositore, l’Eastman School of Music di Rochester (NY), lo ha invitato come residente del prestigioso Howard Hanson Visiting Professor 2017. Tra altri compositori importanti che hanno ricevuto questa distinzione, si trovano Jo Kondo, Hans Abrahamsen, Louis Andriessen e il Premio Pulitzer Mario Davidovsky.

Icarus Ensemble nasce nel 1994. Ensemble di livello internazionale è stato più volte presente nelle Americhe (Messico, Argentina, Stati Uniti), Asia (Giappone, Indonesia), Africa (Egitto) e naturalmente Europa (Olanda, Belgio; Inghilterra, Svizzera, Croazia, Francia, Germania, Azerbaijan, Lituana, Irlanda, Romania, Moldavia, Russia. In Italia ha suonato per quasi tutte le maggiori istituzioni e festival. | loro concerti sono stati trasmessi dalle reti nazionali italiane, giapponesi, messicane, argentine, olandesi, francesi, svizzere, rumene e azerbaigiane. Hanno inciso per Ricordi, Stradivarius, Bottega Discantica, Sincronie, Ariston, Spaziomusica.

Esecutori: Flauto, Giovanni Mareggini; oboe, Orfeo Manfredi; clarinetto, Martina Di Falco; tromba, Innocenzo Caserio; violino, Yoko Morimyo; violino, Elisabetta Del Prato; viola, Angelica Cristofari; violoncello, Carla Scandura; contrabbasso; Pier Luigi Cilli; pianoforte; Elisa Copellini; pianoforte, Marco Pedrazzini; percussioni, Gabriele Genta; percussioni, Francesco Pedrazzini*; percussioni, Matteo Rovatti; tastiera, Dina Bartoli.

Joo Cho. Nata a Seoul, la soprano Joo Cho si è diplomata al Conservatorio di Milano e si è perfezionata con Peter Schreier e Helmut Deutsch. Risultata vincitrice di numerosi concorsi, si è esibita internazionalmente in ambito operistico, sinfonico-oratoriale e liederistico in sedi quali: Opera House di Seoul, Suntory Hall a Tokyo, Auditorio Nacional a Madrid, Teatro Regio di Parma, Teatro Comunale di Modena, Auditorio della Conciliazione a Roma, Festival MiTo a Milano. Ha registrato per le edizioni Bongiovanni, Col Legno, Classica Viva, Limen. Ha preso parte a numerose prime esecuzioni assolute di compositori contemporanei.

Diego Petrella. Iniziato al pianoforte da Michele Fedrigotti, studia ora con Cristina Frosini al Conservatorio G. Verdi di Milano. Vincitore di diversi premi e borse di studio, la sua attività concertistica lo vede ospite di importanti sedi nazionali tra le quali l’Accademia Filarmonica Romana, la Società Umanitaria a Milano e Napoli, la Sala Verdi di Milano e numerose altre.

Cinzia Pietribiasi e Pierluigi Tedeschi. La Compagnia Pietribiasi/Tedeschi è stata fondata a Reggio Emilia nel 2012 da Cinzia Pietribiasi (regista, performer e crossmedia artist) e da Pierluigi Tedeschi (scrittore, dramaturg e performer). Punto di forza della Compagnia è l’eclettismo degli interessi e degli stimoli culturali e la trasversalità delle proposte performative che spaziano dalla videoinstallazione al teatro civile, dal teatro-danza ai concept album musicali, dal teatro per l’infanzia ai reading nei locali, dalle produzioni site-specific alle installazioni interattive. Il duo ama collaborare, a seconda del progetto, con danzatori, videoartisti, musicisti, fotografi, fisici e programmatori. Tra le produzioni, oltre al progetto pluriennale #MEMORIEDELSUOLO (2015-19), si ricordano: IO SONO QUI (2012), FREEZE (2013-14), BIOS (2014), PUNTO TRIPLO (2015), BIF E ALTRE STORIE (2018).

Giovanni Cospito. Diplomato in chitarra classica e fagotto, ha studiato composizione al Conservatorio di Milano e conseguito il diploma di musica elettronica presso il Conservatorio di Venezia. È docente di Composizione musicale elettroacustica e coordinatore del Dipartimento di Musica con Nuove Tecnologie presso il Conservatorio G, Verdi di Milano. Promotore della cooperazione didattica e di ricerca fra il Politecnico di Milano Polo di Como ed il Conservatorio di Musica di Como relativa al Biennio Specialistico in Ingegneria e Design del Suono. La sua produzione compositiva comprende Musica Elettroacustica e Musica Mista, Computer Music e Musica Acusmatica. Ha collaborato con: CSC-Padova, LIMB-Venezia, GMVL-Lione, AGON e LASDIM di Milano, EMS-Stoccolma, IRCAM-Parigi, TEMPO REALE-Firenze; curato produzioni per festival, radio, concerti e rassegne, con elaborazioni teoriche e didattiche: Università degli Studi-Trento e Potenza, SSPM svizzera, SIEM-Forum Musica e nuove tecnologie; prodotto opere multimediali con uso di tecnologia interattiva: Accademia di Belle Arti Brera-Milano, Opera Totale-Venezia, Teatro Carlo Felice- Genova, | Teatri della Nuova Musica-Terra delle Gravine, Centro Candiani-Venezia; video-poesia, video-arte e video-danza; creato applicazioni per il design e l’interazione sonora. Membro del CEDIM (Centro di elettroacustica e interazioni digitali) della Fondazione Culturale San Fedele-Milano, dirige l’Associazione METAS per la musica elettroacustica e le arti performative, realizza progetti di Sonic Interaction Design con il gruppo Volumi.

Carlo Franza

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