9788815280855_0_221_0_75“Il pessimismo rischia di funzionare come una profezia che si autoadempie”, scrive Angelo Panebianco nel suo nuovo libro “All’alba di un nuovo mondo” (pp.132, Il Mulino, 2019 ) scritto assieme a Sergio Belardinelli; in verità questo testo, di due studiosi e intellettuali italiani (nel libro si definiscono “liberali realisti”) sembra offrire il fianco ai declinisti e ai populisti, cui Panebianco e Belardinelli si oppon1555693825502_1555693846.jpg--con_la_crisi_della_societa_aperta__il_pessimismo_diventa_un_autoprofeziagono.Il libro è un canto funebre del finto liberalismo, una denuncia dell’incoscienza culturale in cui si consuma la moderna tragedia della secolarizzazione, della crisi da legittimità di un pensiero debole, debolissimo. Emerge tutta la fragilità di una società integrata che si regge soltanto ormai su un consenso bulgarizzato. L’Europa, scrive Panebianco, è battuta dal vento della crisi demografica: “Smettere di fare figli determina, sul piano macrosociale, mutamenti di vasta portata”, afferma l’editorialista del Corriere della Sera di un continente che si disintegra mentre non integra gli immigrati, con “le seconde e le terze generazioni che si rivelano le più restie all’integrazione”.  Panebianco allarga la disamina quando dice, perché l’ha ben radiografata,  che né il multiculturalismo inglese né l’assimilazione laico francese hanno funzionato. Non fa mistero, affermano gli studiosi,  che si legge dappertutto  di una “insicurezza collettiva dell’Europa”, di un Occidente che ha smesso da tempo di “fungere da motore propulsore dei processi di democratizzazione in giro per il mondo”, di una “melassa politicamente corretta” scambiata per diversità o pluralismo intellettuali, degli Stati Uniti che hanno rinunciato al loro ruolo di “nazione indispensabile”-  che ha avuto  inizio con Obama e ha  poi proseguito con Trump- dice Panebianco, e di un “antieuropeismo montante che è più l’effetto che non la causa” della crisi dell’Unione europea. Si parla anche di “apparati 2015_cmc_DSCF1690burocratici ostili e del tutto incapaci di generare senso di appartenenza e cittadinanza”. La crisi investe tutto  ma la colpa -senza forse- è anche del web, che doveva essere un prato rigoglioso di progresso e aperture, invece “lo sviluppo tecnologico ha cessato di apparire come benigno per assumere tratti inquietanti”; basti pensare al movimento 5stelle e alla piattaforma Roussseau  che si pèuntellano come soltanto la softwar elettorale. Ci sono soprattutto “fenomeni di chiusura cimagesognitiva che gli psicologi denominano groupthinks”. E’ il pensiero di gruppo, l’echo chamber, la libera opinione, che fu il telaio della democrazia di tipo classico, fondata sulla discussione e sulla critica, ma che ora sta cedendo il passo all’opinione prefabbricata e autoreferenziale. “E la radicalizzazione delle opinioni politiche ne è un sottoprodotto”. Anche qui, Panebianco depista i liberali classici e riprende i temi della “Folla solitaria” di David Riesman, la ricerca della sicurezza sociale per il tramite di una disposizione gregaria; opera ormai classica, “La folla solitaria” resta uno dei punti di riferimento fondamentali degli studi sociologici contemporanei. Al centro dell’analisi è il “carattere sociale americano”, e in larga misura di tutto l’Occidente sviluppato, quale si è formato nella società di massa; innumerevoli sono le intuizioni acute e anticipatrici, basta rileggere le analisi del rapporto genitori-figli, della dipendenza dal gruppo dei pari, dell’influenza ambigua dei mass media, della dialettica tra lavoro e tempo libero. Ne emerge con vigore la figura – per certi versi persino tragica – dell’uomo-massa: eterodiretto, educato alla scuola del conformismo, schiacciato dal bisogno di approvazione e di successo, abitante di un mondo governato dalle apparenze, spogliato della propria individualità, solo e disarmato nella moltitudine che gli si affolla intorno.papa-benedetto-xvi-800x600

Cosa ci aspetta, quale il nostro futuro,  si domanda Panebianco? “Lo scenario futuro più probabile è un’ Europa debole e divisa che diventa l’oggetto del contendere delle grandi potenze: Stati Uniti, Russia e Cina”. Non tutto è ancora perduto, come dicono i declinisti ortodossi, ma “il futuro del mondo intero dipende da quanto accadrà alla società aperta occidentale”, perché “se viene meno il primato occidentale non c’è ordine internazionale possibile”. E se non risolvono  questi problemi, la società aperta occidentale è spacciata. Per ora non arrivano buoni segnali dall’Europa. Qui nel libro si lasciano scoprire gli elementi essenziali del nascere di un’epoca nuova, mescolati e confusi ancora a quelli di un mondo che sta tramontando. Il secondo saggio, quello di Belardinelli, illumina il primo, quello di Panebianco, rivelandone la trama più profonda e nascosta. Sta nella stanchezza sia della politica sia della religione, secondo Belardinelli, il vero problema dell’Europa di oggi. Scrive Panebianco, nella prima parte del libro, che “solo un ordine liberale, nel mondo attuale, può avere un’autentica vocazione universalistica”. E che questo mondo liberale non può che consistere in un rilancio dei legami interatlantici e una ripresa dell’integrazione europea su basi nuove. Se questo è vero, allora proprio “l’universalismo della ragione e della religione cristiana rappresenta la carta culturale vincente per venire a capo dei grandi problemi del mondo globale”. Belardinelli aggiunge che anche per la Chiesa cattolica si pone il problema di riflettere sulla necessità di non accantonare il proprio radicamento europeo, senza che in qualche mondo ne risenta la sua natura, il suo patrimonio istituzionale, dottrinale e pastorale. “L’Europa che abbandona la Chiesa e la Chiesa che abbandona l’Europa rappresentano lo svuotamento della “vitalità” di entrambe le città”. Vi confesso che la lettura di questo libro prezioso, mi ha suscitato  una domanda di fondo: esiste ancora la possibilità, soprattutto in Europa, che la fede torni a essere una forza vitale, che uomini e donne tornino a credere in Dio e a vivere come se la sua esistenza non fosse in dubbio? A questa domanda, Belardinelli – citando Leo Strauss e Joseph Ratzinger – argomenta che il mondo ha senso soltanto perché è stato creato da Dio, e che “soltanto un Dio onnipotente e amoroso può pretendere la nostra fede”. Ecco, questo è il punto. La fede di oggi -sempre che ci sia ancora-  è debole, insufficiente a garantire una forte identità, pacifica e tinta di socialità, esposta al relativismo. Abbiamo questa fede che per la verità è un po’ povera, fragile nella sua  dottrina e culturalmente aperta  ad  incontrare le persone  per dare un senso alla propria vita, una fede che  si legge  e si vive come bandiera che incontra disperazioni e solitudini del nostro tempo. Questa fede – se esiste – si amalgama oggi con altre culture, altre religioni, altre civiltà, dando vita a qualcosa d’imprevedibile, divenendo una torre di babele, una torre senza identità. Occorre ripensare o meglio ritornare a una fede che sia   il marchio del nostro vivere e del nostro  essere cristiani, lasciando da parte quella fede che vive  occasionalmente  e si misura nella povertà della  storia umana.

Carlo Franza

 

 

 

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