104571-Matteo_Bagnai_11Fabbrica delle parole, ovvero una fabbrica di confronti e incontri; fabbrica di pensieri da partecipare e di letture; fabbrica di sguardi e stupori, di riviste e di intellettuali militanti che hanno realizzato “fogli di poesia”; fabbrica di libri, di storie e di futuro che riguardano tante comunità: si configura così questo percorso permanente sull’arte della stampa, che in  da realtà è un lungo viaggio in cui narrazioni e storie si intrecciano in un itinerario visivo che incontra macchine tipografiche e computer degli albori, caratteri tipografici e altri strumenti che segnano l’evoluzione della tipografia. Ma è anche un luogo vivo, un laboratorio, in cui esperienza e idee si uniscono grazie ad attività didattiche.2015-03-07 18_25_01
Non è un caso che la Fabbrica delle parole si inserisca nel percorso intrapreso dal Convitto Palmieri di Lecce, che con la Biblioteca Bernardini si sta sempre più indirizzando come epicentro di percorsi plurali riguardanti la cultura del libro e la lettura, intesa come processo di rigenerazione delle coscienze e di progettazione di possibili futuri che incontrano anche le arti attraverso mostre, pubblicazioni, teatro, cinema e musica, grazie all’impegno delle associazioni e delle tante realtà coinvolte.  La Fabbrica delle parole, dall’esposizione di un’epigrafe messapica a un computer Mac degli albori, esplora ciò che si intende per comunicazione, nelle sue accezioni più aperte, in un itinerario che fa i conti con oltre cento anni di storia grazie a una donazione importante, quella della famiglia Martano alla Provincia di Lecce e al Polo biblio-museale, oggi racchiusa nelle sale del Convitto Palmieri grazie a un progetto espositivo curato da Brizia Minerva, Sara Saracino e Anna Lucia Tempesta con Alessandra Berselli, Vincenzo, Sonia e Luca Martano; una sezione video-documentaria a cura di Mauro Marino e Stelvio Attanasi; identità visiva e allestimento grafico a firma di Donata Bologna; ricerche in emeroteca, a cura di Gabriele De Blasi.  Potremmo asserire che idealmente la storia della Fabbrica delle parole nasce nel 1903 nella bottega tipografica Lazzaretti, quando Salvatore Martano avvia una stamperia che tramanderà ai figli Vincenzo ed Ernesto, fino ai nipoti. Vincenzo Martano, testimone e custode dell’impresa di famiglia, la cui storia copre più di un secolo, in anni recenti ha donato alla Provincia di Lecce e al Polo biblio-museale una eccezionale selezione di macchine e strumenti tipografici, oggi proposti al pubblico in un allestimento appositamente concepito da un team di esperti. La dedizione per questo lavoro che mai ha lasciato Vincenzo, ha alimentato la sua passione per il collezionismo di tutto ciò che ha rappresentato la storia della sua famiglia e della stampa tra Otto e Novecento: dall’iconico “torchio a stella” ai vari modelli di “pedaline” per la stampa veloce compreso il modello di “Totò”, alle macchine da stampa “piano – cilindriche” dei primi del Novecento. Un racconto che non tralascia nulla, comprendendo una serie di strumenti per il ciclostile, sistema per la copiatura, che introduce alle macchine fotocopiatrici degli anni Settanta basate sull’invenzione di Carlson per la riproduzione xerografica di un documento. Da qui al digitale il passo è cosi breve da ritrovarci davanti ad una serie di Microcomputer Macintosh, tra c5287123_1429_img_20200614_wa0050ui il modello Apple 1976, il primo personal computer della storia. Preziosa anche la sezione dedicata ai periodici culturali che dalla fine dell’Ottocento alla fine del XX secolo hanno contrassegnato la storia dell’editoria in Terra d’Otranto. Tra le esperienze più significative, certamente “L’Albero”, rivista collegata alla straordinaria esperienza culturale di Girolamo Comi avviata a Lucugnano nel 1949, e “L’esperienza poetica”, 1954, di Vittorio Bodini; per giungere poi negli anni Settanta e Ottanta con personalità come Antonio Verri, ideatore di riviste letterarie quali il “Caffè Greco”, il “Pensionante de’ Saraceni” e il “Quotidiano dei poeti” e Francesco Saverio Dòdaro, fondatore del Movimento di Arte Genetica con l’avvio della rivista “Ghen”, 1977, entrambi promotori di una cultura antiaccademica e plurale.41JiAkR1qYL__SX360_BO1,204,203,200_ “L’abbiamo concepito -così spiega il direttore del Polo, Gigi De Luca-  per far capire ai visitatori che non si tratta di due ambienti distinti, ma collegati. La Bernardini, infatti, possiede, oltre alla sua dotazione libraria, una ricca emeroteca storica, con fogli e giornali che sono stati stampati proprio su macchine come quelle in mostra, se non sulle stesse. Questo percorso, quindi, ci aiuta a scoprire l’originaria artigianalità delle parole stampate”.
Secondo Martano, si andava anche oltre l’artigianalità. «Era una vera e propria arte sottolinea il tipografo e dovevi essere un artista per poter stampare sulla carta. Dal Settecento e Ottocento, l’epoca a cui risalgono i torchi più antichi della mia collezione, fino a oggi, c’è stato un enorme sviluppo del settore. Le mie macchine rappresentano, invece, gli albori della stampa”. Molte facevano parte della stessa tipografia Martano, mentre quelle più antiche Vincenzo le ha acquistate in giro per l’Italia: “Ogni volta che trovavo uno di questi esemplari lo compravo perché ho sempre creduto che fosse importante salvarne la memoria”. Possiamo senz’altro affermare che la storia della Fabbrica delle parole nasce con l’azienda della famiglia Martano. Il nonno di Vincenzo aveva una tipografia itinerante: in sostanza, con un carrettino girava per Lecce per stampare i primi biglietti e volantini. A dare forma imprenditoriale a questa attività è stato il padre di Vincenzo, Salvatore, che ha avviato la sua stamperia nel 1903, tramandata, poi, ai figli Vincenzo ed Ernesto, con i quali è cresciuta fino ad avere tre sedi (Lecce, Bari e Milano) e ai nipoti Sonia e Luca. I primi giornali stampati dalla tipografia Martano sono stati Il tallone d’Italia e La Festa noscia, un foglio umoristico che usciva in occasione della festa patronale, inaugurato proprio nell’anno di nascita di Vincenzo, il 1935; uno degli ultimi, invece, proprio il “Quotidiano” di Lecce, sul quale  io stesso ho scritto  come  Giornalista Collaboratore negli anni Novanta -pur essendo già a Il Giornale di Indro Montanelli-,  nel Paginone della Cultura,  ampi articoli di vivace interesse artistico-culturale. Ecco il percorso espositivo della Fabbrica che, in sequenza, conducono il visitatore nei diversi ambienti, sviscerando la narrazione sui macchinari, sulle tecniche di stampa e, di fatto, sulla storia dei caratteri mobili con gli esempi più illustri. All’ingresso un’accoppiata simbolica: un’epigrafe messapica e il primo Macintosh della Apple, quello del 1976, per mostrare subito l’evoluzione della parola scritta. Poi, uno dei torchi più antichi, datato al 1888, con il quale si stampava Pinocchio di Collodi, uscito qualche anno prima, introduce una linea del tempo lungo il muro del corridoio che arriva fino a una sala dove viene proiettata una video-intervista a Martano. Subito dopo, c’è la sezione dedicata ai periodici culturali che, dalla fine dell’Ottocento alla fine del XX secolo, hanno contrassegnato la storia dell’editoria in Terra d’Otranto. “Avevamo un numero di tipografie sproporzionato rispetto al numero di abitanti della provincia  -osserva  De Luca-  ed era dovuto proprio a un’effervescenza culturale che produceva tante esperienze editoriali. Pensiamo a L’Albero di Girolamo Comi, a L’esperienza poetica di Vittorio Bodini e, in tempi più recenti, alle riviste letterarie di Antonio Verri”.
Da qui si arriva alle macchine vere e proprie in un crescendo che va dalla litografia al digitale: dall’iconico torchio a stella ai vari modelli di pedaline per la stampa veloce, compreso il modello del film di Totò, alle macchine da stampa piano-cilindriche dei primi del Novecento. Un racconto che attrae non poco e non tralascia nulla, comprendendo una serie di strumenti per il ciclostile, sistema per la copiatura, che introduce alle macchine fotocopiatrici degli anni Settanta, basate sull’invenzione di Carlson per la riproduzione xerografica di un documento.
Una serie di Macintosh segna l’avvento dei computer nelle tipografie; l’occhio coglie  inoltre, le macchine da scrivere, le macchine fotografiche (con alcuni esemplari delle più antiche), il banco dei caratteri mobili in legno, quelli originali della tipografia Martano, le macchine per la composizione, quelle per le piccole tirature e, persino, gli utensili per la finitura (guanti, gomme, spatole, spillatrici, occhiellatrici). Un intrigante viaggio nel tempo e nella cultura , insomma, e in un mondo artigianale e artistico che oggi è stato superato. 

Carlo Franza

 

 

 

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