Un tesoro ritrovato, il ciclo di affreschi di Angelo Michele Colonna già in Palazzo Niccolini a Firenze. La Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato è lieta di annunciare il ritrovamento dell’importante ciclo di affreschi eseguito nella seconda metà del XVII secolo dal noto pittore Angelo Michele Colonna per Palazzo Niccolini in via dei Servi a Firenze, attuale sede del Provveditorato alle Opere Pubbliche. Si tratta di quadrature, ovvero architetture dipinte che ricoprivano pareti e soffitti degli ambienti della Galleria realizzata all’interno di Palazzo Niccolini nell’ambito dei lavori di ammodernamento commissionati da Filippo, primo marchese di Ponsacco e Camugliano, allora proprietario del palazzo. Il Colonna, pittore celebrato dalle corti italiane e straniere, aveva qualche anno prima affrescato per i Medici alcune sale dell’appartamento estivo del Granduca a Palazzo Pitti (ora Museo del Tesoro dei Granduchi). Nel 1956, allorquando fu intrapreso il restauro del Palazzo per destinarlo a sede del Provveditorato alle Opere Pubbliche, poiché la Galleria si presentava già allora ridotta a circa un terzo della sua estensione originale, a seguito della decisione di modificare gli ambienti per ricreare una loggia aperta, gli affreschi furono strappati e trasportati su tela. Purtroppo essi non furono mai riposizionati e ad oltre sessant’anni dalla loro rimozione non risultavano più noti agli studi. Le recenti ricerche effettuate dall’architetto Clausi, funzionario della Soprintendenza, all’interno dell’archivio Niccolini hanno riportato alla luce i pagamenti ad Angiolo Michele Colonna confermando l’importanza e la magnificenza del ciclo, stimolandone la ricerca all’interno dei depositi della Soprintendenza, tra i materiali di provenienza ignota. È stata quindi avviata una ricognizione all’interno dei depositi, a cura dell’architetto Clausi in collaborazione con la dottoressa Vanessa Gavioli, responsabile dei depositi, e con l’architetto Hosea Scelza, funzionario competente per territorio, conclusasi con il ritrovamento del suddetto ciclo decorativo così come si presentava al momento della rimozione. Gli affreschi, ad oggi, presentano diverse alterazioni della cromia originale, alcune parti sono meglio leggibili di altre, secondo una ovvia discontinuità conservativa causata dal trauma dello strappo e dell’arrotolamento, nonché dalla giacenza nei depositi per oltre sessant’anni. Nonostante l’apparente opacizzazione dei colori e lo strato di sedimentazioni diffuse sulle superfici, il potenziale di recupero dell’originario splendore è piuttosto elevato, pertanto la Soprintendenza del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (MiBACT) ne ha caldeggiato il restauro presso il Provveditorato alle Opere Pubbliche che in questi giorni ha emanato la determina per l’affidamento dell’incarico. Considerata la natura degli affreschi in questione, progettati e realizzati in stretta correlazione con l’involucro architettonico, sono state svolte indagini preventive al fine di verificare la possibilità di ricollocazione nella sede originaria. L’operazione, seppur complessa, è risultata possibile e sarà oggetto di un apposito progetto da attuarsi in collaborazione tra Soprintendenza e Provveditorato, al fine di restituire alla città di Firenze un brano fondamentale per la storia dell’arte e dell’architettura del Seicento.

Palazzo Niccolini, già Palazzo Ciaini da Montauto. Il palazzo Ciaini da Montauto sorge lungo il lato occidentale di via dei Servi, uno dei principali assi viari della città cinquecentesca: su commissione del mercante Bastiano Ciaini da Montauto, desideroso di dare legittimazione al suo status sociale, la costruzione del palazzo ha avvio il 1 agosto 1548. Il progetto e la direzione della fabbrica sono affidati a Domenico di Baccio d’Agnolo e alla sua morte nel marzo del 1554 il cantiere viene diretto dal fratello Giuliano. Alla morte di Bastiano da Montauto il palazzo passa in eredità al fratello Matteo ed in seguito al nipote Benedetto per poi essere venduto nel 1575/6 al senatore Giovanni di Agnolo Niccolini nel 1576. Questi vi andò ad abitare subito e probabilmente pensò fin dall’inizio di apportarvi delle modifiche, ampliandolo verso il giardino interno. Nel 1594 la Fabbrica viene abbellita con la costruzione di una loggia terrena, sul fianco del palazzo che prospetta sul giardino. La loggia è stata attribuita al Dosio, che in quel periodo era di casa presso la famiglia Niccolini, seppur non vi sia traccia dei pagamenti a lui effettuati per i lavori. Nel 1611, alla morte di Giovanni, il palazzo passa in eredità a suo figlio Filippo (1586 – 1666), che aveva acquistato anche la grandiosa villa medicea di Camugliano presso Pontedera diventando il primo marchese di Ponsacco e Camugliano. Questi fa abbellire in modo considerevole il palazzo di famiglia. Al periodo della sua vita si devono riportare sia la costruzione della loggia, al di sopra di quella terrena, verso la metà del secolo, che la maggior parte delle pitture che adornano le sale ed i soffitti. La loggia viene duplicata in altezza con archi identici a quelli sottostanti poggianti però su colonne con capitelli ionici; la sopraelevazione provoca il rifacimento delle volte sottostanti con la conseguente perdita degli affreschi del Cristofani. La data di questi lavori non è stata stabilita con certezza, di sicuro nell’arco centrale un’iscrizione riporta la data del 1655, probabilmente da riferirsi all’ultimazione dei lavori. In quegli anni, intorno al 1650, per decorare sia le nuove stanze che quelle preesistenti al piano terreno, Filippo chiama i migliori artisti sulla piazza: Baldassarre Franceschini detto il Volterrano, Giacinto Gemignani, Andrea Ciseri, Jacopo Chiavistelli. Anche “Angiolo Michele Colonna e Augusto Mitelli Pittori Bolognesi” realizzano nel 1652, svariate decorazioni, soffitti e sovrapporte, la maggior parte delle quali sono andate purtroppo perdute. In seguito il solo Colonna realizza le splendide quadrature a decorazione della Galleria voluta da Filippo in corrispondenza del piano superiore della loggia. Quest’ultima infatti, a quanto pare, non fu mai utilizzata come tale ma da subito divisa in tre ambienti di cui quello centrale era la galleria vera e propria, affiancata poi da due ambienti più piccoli. Nel 1666 Filippo muore senza figli e chiama a succedergli, Lorenzo di Matteo, figlio di un suo avo, committente delle grandi trasformazioni all’originario impianto cinquecentesco del palazzo, comprendenti anche la realizzazione di una nuova ala, alla destra della fabbrica cinquecentesca. A partire dal 1755 Lorenzo di Giovanluca Niccolini si fa promotore di un ulteriore riammodernamento del palazzo a seguito del matrimonio con Giulia Riccardi, esponente di una delle più ricche famiglie toscane, che comprende anche due distinti interventi pittorici di Giuseppe Del Moro. Quando, nel 1811, Giuseppe Niccolini muore, la situazione finanziaria della famiglia è alquanto dissestata, e la successiva gestione della vedova, in quanto tutrice dei figli minori, non porta alcun giovamento. Per questo motivo il figlio Lorenzo, una volta divenuto marchese, si trova costretto a vendere diversi beni, compreso il palazzo di famiglia che passa al conte Dmitrij Petrovič Boutourlin (1736-1829), senatore, consigliere e ciambellano dell’imperatore di Russia. Per iniziativa del conte Dmitrij prima, e dei figli poi, viene operato un sostanziale rifacimento del giardino oltre agli interventi sulla facciata. Inoltre sempre in questi anni, vengono apportate modifiche alla Galleria affrescata dal Colonna, che viene rimpicciolita per ingrandire una delle salette laterali. Nel corso della prima metà del Novecento il palazzo vede innumerevoli cambi di proprietà che comportano sia molte trasformazioni interne sia un periodo di abbandono e profondo degrado, anche in conseguenza dei vari usi a cui viene destinato. L’edificio diviene infatti sede della Casa del Fascio, quindi usato per l’acquartieramento delle truppe anglo americane. Nel 1944 – per effetto della legge n. 159 del 27/07/1944 – Palazzo Niccolini passa allo Stato italiano in quanto bene appartenente al cessato partito nazionale fascista. Nel periodo di transizione fra il ritiro delle truppe fasciste da Firenze e l’acquisizione da parte dello Stato il palazzo fu adibito agli usi più disparati: sede del Partito Comunista, Camera del Lavoro, sede di associazioni varie, ristorante e persino cinema all’aperto nel giardino. Tutto questo aveva contribuito ad allontanare l’aspetto del Palazzo da quello originario e uno stato di parziale abbandono, o comunque cattiva manutenzione, aveva fatto il resto. Quando lo Stato ne prese possesso, destinandolo ad uffici del Provveditorato alle Opere Pubbliche della Toscana e della Ragioneria Regionale dello Stato, si rese necessario un adattamento degli ambienti nonché un profondo restauro, condotto in accordo con gli uffici della Soprintendenza ed eseguito negli anni 1956-57. Quello che di sicuro ha stravolto maggiormente l’aspetto del palazzo è da riscontrarsi nella demolizione della Galleria per ricostituire la loggia originaria. Gli affreschi del Colonna che ancora vi si trovavano vennero quindi staccati e riportati su tela mentre furono costruite delle volte ad immagine e somiglianza di quelle sottostanti. E’ da ricordare che la Galleria, per quanto si evince dai documenti, doveva essere divisa in tre stanze: una sala centrale e due salette alle estremità che erano già state oggetto di ingrandimento (evidentemente a scapito della sala centrale) all’epoca dei Boutourlin. Le finestre vennero ricostruite, così come la porta centrale, mentre è tuttora presente l’originale balconcino in pietra con la sua balaustra in ferro. Un più recente e ugualmente complesso intervento di restauro alla struttura è stato condotto nel 1974, seguito da un intervento alla decorazione graffita e dipinta nel 1981 e da un cantiere relativo all’addizione del primo Settecento del 1981-1982. Nel 2009 si è intervenuti con nuovo restauro dell’altana, mentre nel 2010 è stato effettuato un restauro conservativo alla facciata principale che presentava condizioni di degrado del paramento in pietra.

Angelo Michele Colonna (Cernobbio 1604 – Bologna 1687). Angelo Michele Colonna nacque a Cernobbio in provincia di Como, ma si trasferì molto giovane a Bologna dove si formò col pittore Gabriele Ferrantini e dove ben presto conobbe Girolamo Curti, noto quadraturista bolognese che lo arruolò nella sua bottega e col quale lavorò alla decorazione della villa Paleotti a San Marino di Bentivoglio (1619-21 circa). Raggiunta una certa notorietà il Colonna venne chiamato a Firenze dal granduca Ferdinando II de’ Medici nel 1633 e nel 1636. Negli stessi anni iniziò a collaborare con Agostino Mitelli col quale affrescò alcuni ambienti a piano terra di Palazzo Pitti la cui decorazione era stata interrotta dalla morte del pittore fiorentino Giovanni da San Giovanni (oggi Museo del Tesoro dei Granduchi). Nel 1646-47 col Mitelli decorò il palazzo estense di Sassuolo. Sempre con Mitelli accettò di andare a Madrid e il loro soggiorno in Spagna ebbe importanti effetti sulla pittura decorativa ad affresco spagnola. Al rientro in Italia il Colonna si associò con Giacomo Alboresi e iniziò la decorazione in Palazzo Niccolini a Firenze; contemporaneamente lavorava tra Padova, Bologna e Zola Predosa ad altre imprese pittoriche. Durante un viaggio a Parigi ruppe la sua collaborazione con l’Alboresi per iniziarne un’altra con Gioacchino Pizzoli, a partire dal 1673. Generalmente la collaborazione col Pizzoli viene giudicata dalla critica più debole rispetto ai sodalizi col Mitelli e con l’Alboresi, da cui sono nati dei veri e propri capolavori della decorazione tardo seicentesca. Divenuto cieco negli ultimi anni di vita, il Colonna cessò di dipingere e morì a Bologna l’11 marzo 1687.

Carlo Franza

 

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