Affascinato dal percorso artistico di Domenico Fatigati, che non disconoscendo  Mondrian e il “neoplasticismo in pittura”, si è volto   poi  a

un’astrazione  decisamente legata a leggi matematiche e  segmenti che  creano campiture architettoniche, planimetrie, inseguendo incastri, sequenze, ritmi,  attrazioni, energie, percorsi e dinamismi. Senza dimenticare  progettazione, percezione, teoria del colore, entro quella geometria impersonale  che nasconde sintesi e particolare finezza. Ora sue opere sono esposte nella rassegna  “L’epochè della bellezza” e dunque visibili ad Artestudio 26 a Milano tra ottobre e novembre 2020. Artista e lucido architetto di forme, in quanto interessato dalla spazialità dell’architettura, da cromo-strutture che si dislocano nello spazio, l’artista campano ha lasciato spazio ad un percorso intellettivo ed emozionale che racconta lo spazio e lo re-immagina attraverso forme tridimensionali e bidimensionali in cui il colore e la linea sviscerano forme inattese e interrogativi del quotidiano. I lavori presentati ora a Milano  focalizzano l’attenzione sulle infinite possibilità del colore e su un’idea di spazialità mutevole e cinetica, che muta attraverso procedimenti come già Piet Mondrian aveva intenso nel suo viaggio pittorico verso la decostruzione della forma individuando rapporti equivalenti tra forme e colori. Le opere si muovono tra due dimensioni quella della percezione oggettuale che per prima colpisce l’occhio e, successivamente, la percezione immaginata, suggerita che ci obbliga a mutare la nostra percezione dello spazio. Le opere, spesso interattive, aiutano dunque il corpo a porsi in relazione con una spazialità informale, ripensata attraverso figure geometriche surcinetiche, ma allo stesso tempo che suggeriscono forme conosciute ai nostri sensi. Le nutrite opere in  mostra raccontano di un percorso oggettuale informale, un sentiero di colore che unisce e stratifica la ricerca dello spazio e della dimensione.  Evidente la ricerca dei piani e delle geometrie, con la relazione  di angoli e forme   che  concretizzano una fantasia bi-tridimensionale, con ritagli e tracciamenti per uscire dal problema della luce e del rapporto  della forma con l’ambiente circostante, per creare delle forme  la cui statica includesse un carattere fantastico, una presenza intorno a cui l’esperienza fisica dello spettatore deve misurarsi, non solo otticamente, ma come esercizio globale delle facoltà percettive. La tendenza costruttiva dell’arte di Domenico Fatigati  deriva da illustri genealogie artistiche, Albers, Mondrian, Le Parc, Garcia Rossi,  per citare taluni artisti; costruisce prevalentemente con elementi diversi,  opere che vivono come “primary structures” con i caratteri di geometria, aniconicità, uso di colori freddi e caldi, asserzione spaziale evidente. Fatigati non riduce  la ricerca estetica in funzione di quella strutturale, pensa le forme geometriche non più un punto di arrivo della forma (Mondrian) ma quali

punto di partenza della materia che si fa colore, luce e movimento. Ha derivato la sua tecnica e la sua estetica da  Kazimir Malevic, dalla serie dei “rytme” di Robert Delaunay, da Albers, Mondrian, Vaserely, Jorge Eielson, Demarco, Garcia Rossi, e altri ancora, molti di questi suoi compagni di viaggio, avendo consapevolezza del valore espressivo del colore, ma anche della coerenza e della sistematicità stilistica. Ora Domenico Fatigati  esce allo scoperto “cum laude”, consegnandoci questi quadri come “tabule perceptiones”, ovvero  strutture dell’interiorità.  Le opere hanno la caratteristica della profondità  e della organicità, e  della  pittoricità in cui il colore  tende a disporsi secondo un ordine astratto ponendo in valore i significati percettivi  delle stesure e delle relazioni tra i gradi diversi di intensità. Egli concepisce il dipingere come una continua mediazione  e tensione tra lo spazio e la superficie, per esplorare la funzione spaziale del colore, cioè vivere il valore creativo dell’astrazione.

Attenzione formale al colore  e al dinamismo delle forme concatenate, includenti o espandenti, per cui esse si scompongono e si compongono, l’artista napoletano   conosce bene la “legge dei contrasti simultanei” di Chevreul  che analizza con la trattatistica scientifica le leggi fisico-ottiche dei colori, in quanto usa i valori cromatici e luminosi per creare ritmi in movimento. Basti riandare al “Primo disco simultaneo” di Robert Delaunay che analizza le qualità dinamiche e costruttive del colore attraverso il contrasto dei toni e il gioco dei complementari.  Opere  come finestre, una serie prismatica di ampi piani vibranti in ritmico movimento,  qui Fatigati  rapporta la durata del dinamismo nel tempo come fenomeno ottico, contrasto simultaneo dei colori; senza non potrebbe tenere viva la cultura simbolica e teosofica delle corrispondenze tra forme geometriche e forme naturali, tra l’uomo e l’universo.  Lo spazio luminoso si infervora di quadro in quadro come un’eternità, quasi facendo proprio un codice, cromostrutture  che si leggono in una loro cifra stilistica, è la geometria euclidea che è stata applicata alla pittura astratto-concreta. La dichiarata impronta costruttiva fa vivere questi dipinti come pittura pensata, lasciando leggere l’artista come artista/genetista con i valori della pittura che sono intuizione, stilema, forma e colore, tanto che le opere di Domenico Fatigati  ci appaiono eterne nella  loro continuità e infinite nella varietà.

Carlo Franza

 

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