L’inglese a scuola, l’inglese nella musica, l’inglese nelle lezioni universitarie (vedi il Politecnico di Milano), l’inglese nel lavoro, l’inglese nelle relazioni e nella comunicazione, l’inglese negli uffici stampa, l’inglese nei giornali, l’inglese…. Basta con quest’inglese. Ma la lingua italiana si parla ancora in Italia? E gli italiani conoscono ancora la lingua italiana? Poi questo governo Conte  a trazione PD -Cinquestelle, Leu e oltre,  ha dato il via, a tambur battente,  a termini inglesi in occasione della Pandemia da Covid 19.   E’ così che oggi  si usano  termini inglesi per indicare  azioni e il da farsi, ecco “lockdown” anziché “confinamento”, “Recovery fund” al posto di “fondi per la ripresa”. Ma non tutti sanno  che in molti casi queste espressioni sono usate pure in maniera sbagliata, così il  “Job Act” che Renzi ha spinto in alto,  a Londra sarebbe “Employement Act” e anche il “cashback”  di cui si gloria Conte, non ha il significato di rimborso che gli hanno  appena affibbiato.

Italiano meticciato, italiano contaminato da altre lingue, e molti sono convinti che se da una parte è un attacco totale alla nostra lingua e alla sua estinzione, dall’altra  è sintomo di vitalità.  E’ certo che la verità è nel mezzo per  vivere invece nell’utilizzo di un inglese laddove è necessario e non per seguire le mode e darsi delle arie   da supercolti.  Dobbiamo ritornare a vivere la profondità della nostra lingua e della nostra patria, la lingua di Dante, perché la nostra lingua è carica di mille significati  e il mostro idioma ha mille sfaccettature, mille risvolti. Il vocabolario della lingua italiana  è un archivio sconfinato di sinonimi ed espressioni  che rischiano di diventare desuete a causa di un utilizzo non solo sbrigativo  e basilare, occorre per l’appunto fare ricorso a  mille risvolti che sottendono  a ogni singola parola.  Dicevamo che in questo periodo impazzano termini come  il “lockdown” e il “recovery fund”,  poi sono arrivati  il “cashback” e il “cashless” di cui si è reso lupus in fabula Giuseppe Conte Presidente del Consiglio nonostante manifesti nel parlare ancora il suo intercalare foggiano di Volturara Appula. Ma il degrado della lingua italiana sta marciando a gonfie vele. 

In Europa siamo l’unico Paese di lingua neolatina che sta rinunciando a rendere nella bellissima e millenaria lingua nazionale le espressioni prese a prestito dall’inglese. Non lo  fa la  Francia, non lo fa  la Spagna, non lo fa il  Portogallo,  essi  traducono sempre nelle loro lingue i vocaboli proposti dalla lingua globale, l’inglese imposto urbi et orba da un governo  ombra massonico e mondiale. L’inglese anche se viene proposto, non certo viene imposto, e dunque sta a noi e soprattutto ai nostro governanti, Conte  in testa  -nonostante Di Maio non conosca  l’inglese pur essendo Ministro degli Esteri-  utilizzarlo  più o meno, in piena libertà. Termini inglesi proposti, appunto, ma non imposti da nessuno. Si deve solo al provincialismo e alla sudditanza della classe dirigente che oggi abbiamo in Italia e badate bene, non solo politica, ma purtroppo anche giornalistica, economica e culturale, se solo in Italia abbiamo deciso di  annullare  e umiliare la nostra lingua amata in tutto il mondo. Il termine itanglese (o itangliano, o italiese) viene definito dal dizionario Hoepli come  “la lingua italiana usata in certi contesti ed ambienti, caratterizzata da un ricorso frequente ed arbitrario a termini e locuzioni inglesi”. In modo analogo a quanto accaduto con fenomeni simili  -certo minori che da noi- in altre lingue – i cosiddetti  spanglish, franglais e denglish (anche denglisch o germish), per citare i più noti – lo sviluppo dell’itanglese ha suscitato l’interesse dell’ opinione pubblica e dei linguisti.

L’itanglese non ha risparmiato alcun aspetto della vita, ma gli esempi più evidenti si possono riscontrare in ambito aziendale e nei linguaggi settoriali, dove, oltre al consistente utilizzo di parole inglesi, anche quando l’italiano prevede una o più valide alternative, sono stati coniati veri e propri neologismi, ibridi fra le due lingue, usati come tecnicismi.

  • Schedulare, da “to schedule“, che sostituisce l’italiano “pianificare, programmare”
  • Splittare, da “to split“, al posto di “dividere (in parti)”
  • Switchare, da “to switch“, al posto di “commutare” e talvolta anche “scambiare”
  • Bypassare, da “to bypass“, come sostituto di “aggirare”
  • Matchare, da “to match“, come sostituto di “abbinare, appaiare”
  • Quittare, da “to quit“, al posto di “uscire, chiudere”
  • Buyare, da “to buy“, “comprare”
  • Implementare, da “to implement“, “attuare”, “porre in opera”
  • Killare, da “to kill“, “uccidere”, “terminare”
  • Bootare, da “to boot“, in informatica, “avviare il sistema
  • Startare, da “to start“, “iniziare”, “cominciare”

Basta lockdown: c’è il confinamento. Al diavolo il recovery fund, l’Europa ci ha già assegnato i fondi di recupero o a scelta (l’italiano dà sempre libertà di scelta), fondi per la ripresa. Che ce ne facciamo del cashback, se disponiamo del rimborso, del denaro di ritorno, dei soldi indietro? Né rischiamo il cashless: siamo già senza contanti. E badate bene,  non occorre mobilitare le istituzioni preposte (dall’Accademia della Crusca alla Società Dante Alighieri, agli Istituti Italiani di Cultura nel mondo),  basta confrontare in rete come gli altri rendano nelle loro lingue quel che noi beviamo, ubriacandoci, dall’inglese. Con l’ulteriore affronto -povero Shakespeare- dell’imbarazzante pronuncia. “Recovery fund” in bocca a molti politici diventa un comico “recovery found”,  a dimostrazione  cioè che non sanno proprio ciò di cui parlano.  Siamo l’unica nazione che da tempo ha denominato “question time” uno degli atti più importanti del suo Parlamento. Senza che nessuno richieda l’ora delle domande.

Sveglia italiani, e la sveglia va data anche ai politici, a Conte,  Di Maio, Renzi, Speranza, Boccia, Zingaretti  – e ai loro addetti tipo Arcuri e Casalino-, ci metto anche Salvini e la Meloni. E inoltre, gli intelletttuali tutti – visto che oggi son tutti pronti a scrivere libri che io molto spesso cestinerei- che aspetta l’intellighenzia italiana a sollevarsi contro l’insopportabile esterofilia tipica di chi  spesso non parla altre lingue? Chi,  infatti, non le conosce  si pavoneggia in italiano con l’inglese maccheronico.

Qui non si chiede l’autarchia linguistica tout court, ma smettiamola di non usare bene a  modo la lingua italiana.  Le lingue sono ricche anche perché da secoli vivono di contaminazioni. Dobbiamo assolutamente, semplicemente,  fare uso delle parole in italiano ogniqualvolta ciò sia possibile. Vedrete, anzi lo scoprirete  che è possibile sempre.  Formiamo una catena di amanti della lingua italiana. Vi assicuro che siamo in tanti. E finiamoli con questi stranieri – è il caso del calciatore-  che si comprava l’esame  e il diploma dell’uso della lingua all’Università per stranieri di Perugia, senza conoscere una parola di italiano..  Ci sono di esempio Francia, Spagna e Portogallo. In italiano con dolcezza nel settecentesimo anniversario di Dante. Questo anniversario può essere un segnale. Occorre che parta   un’iniziativa di politici e giornalisti – ad iniziare da noi de Il Giornale-, direttori di giornale e scrittori, cantanti e artisti per porre  fine all’abuso avvilente di termini che attentano alla nostra lingua, termini che, oltretutto, danneggiano  la  comunicazione   chiara  e comprensibile. Alziamo tutti, ripeto tutti,  la voce, a gran voce  disseminiamo la lingua italiana, lingua d’Italia e del mondo.

Carlo Franza

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