La statua di Indro Montanelli imbrattata

La statua di Indro Montanelli imbrattata

Indro Montanelli era pedofilo e razzista.
E’ quanto sostengono alcuni gruppi antirazzisti e femministi, che a Milano vorrebbero rimuovere la statua del grande giornalista dai giardini pubblici a lui intitolati. E che vorrebbero, naturalmente, intitolare i giardini a qualcun altro. Più degno di lui.
La colpa di Montanelli? Arrivato all’Asmara nel 1935, reporter ventiseienne, viene nominato comandante di compagnia nel XX Battaglione Eritreo, formato a ascari, mercenari locali. Era tradizione che gli italiani trasferiti laggiù, a migliaia di chilometri da casa, si prendessero come compagna una donna africana. Al giovane Indro venne proposta una minorenne locale, e lui non si sottrasse.
Si vollero bene. Ma per fortuna Montanelli capì che quel legame era sbagliato. Quando la relazione terminò, la ragazza sposò un attendente eritreo. Con lui fece tre figli, il primo lo chiamarono Indro.

Eccola qui, la grande colpa del grande scrittore. Ecco perché era razzista: perché si era messo insieme ad una ragazza di colore (dovrebbe semmai essere il contrario: un bianco che va con una nera dimostra che il colore della pelle non conta). Ed ecco perché era pedofilo: perché lei non era ancora maggiorenne.
Che dire, allora, di Maometto, che ebbe la bellezza di 13 mogli, tra cui una schiava copta (pure schiavista, oltre a razzista!), e addirittura 16 concubine? La sua moglie più importante, Aisha, venne sposata formalmente quando aveva 6 anni. E il rapporto venne consumato quando ne aveva 9.
Oggi ci scandalizziamo per certe cose. Aggiungo: per fortuna. Un maggiorenne che fa sesso con una minorenne finisce in gattabuia; se la ragazzina è una bambina, buttano via la chiave. Ed è giusto che sia così. Oggi. Ma allora le tradizioni, la cultura, la mentalità erano completamente diverse. Si viveva meno, si moriva prima e si doveva prolificare prima. In Eritrea, nella prima metà del Novecento l’aspettativa di vita media era sotto i 40 anni. Come pure in India. A 13 anni Gandhi sposò una tredicenne ed ebbero cinque figli. Sbagliato, sbagliatissimo. Come i matrimoni combinati. Ma allora era la regola. E se provavi a ribellarti venivi condannato, come eretico e nemico dei valori familiari. E purtroppo certe ignominie sono ancora la regola, in alcuni Paesi. Nel 2020 i matrimoni tra ragazzine dodicenni e uomini che hanno il doppio, il triplo e anche il quadruplo dei loro anni sono, drammaticamente, la norma in molte regioni di Iran, Afghanistan, Irak, Pakistan, Yemen. E non solo. Non mi risulta, però, che nessun antirazzista sia mai andato a manifestare davanti all’ambasciata iraniana: come mai?

Ci sono istanze giuste, giustissime. Che però, portate all’estremo, diventano ridicole. Da quando, negli Usa e in tutto il mondo, il movimento Black lives matter ha ripreso vigore dopo la tragica uccisione di George Floyd, la piaga del razzismo è tornata all’ordine del giorno. Era ora, visto anche che Trump si è permesso di mettere sullo stesso piano i suprematisti bianchi e gli antirazzisti. Dopo i disordini di Charlotteville nell’agosto 2017, in cui una giovane antifascista venne uccisa da un estremista di destra, il Presidente disse qualcosa che fa ancora accapponare la pelle: “There were very fine people on both sides”, “C’erano ottime persone da entrambe le parti”. Come dire che anche gli scagnozzi del Ku Klux Klan sono ottime persone.

Ben venga il rigurgito antirazzista. Ma evitando che, oltre al razzismo, prenda di mira anche il buon senso. E’ ridicolo abbattere le statue di Cristoforo Colombo, colpevole di avere scoperto il Nuovo Mondo, e quindi di avere dato il via al genocidio degli indiani. Così come è ridicolo voler tirare giù i monumenti a Winston Churchill, l’eroe della lotta a Hitler, perché credeva che i bianchi fossero più intelligenti dei neri e degli orientali. Idiozie, che però nell’epoca dell’imperialismo europeo andavano per la maggiore. E c’è chi, in nome dell’antirazzismo, vorrebbe mettere al bando Shakespeare. Perché antisemita nel Mercante di Venezia.

Leonardo da Vinci, animalista e vegano ante litteram, scrisse: “Fin dalla più tenera età, ho rifiutato di mangiare carne. E verrà il giorno in cui gli uomini guarderanno all’uccisione degli animali così come oggi si guarda all’uccisione degli uomini”. Se il tempo dimostrerà che aveva ragione, tra uno o due secoli, chissà, i posteri inorridiranno al pensiero che ancora nel ventunesimo secolo si mangiavano gli animali. Guardando i video-choc degli allevamenti intensivi, in cui mucche, maiali e pulcini sono (mal)trattati come oggetti, resteranno a bocca aperta. E abbatteranno le statue di tutti quanti, prima di loro, non sono stati vegetariani: razzisti, anzi specisti, perché teorizzavano la superiorità di una specie sull’altra. E perché giustificavano, in questo modo, le peggiori violenze su creature inermi.

Quando, nel lontano 1983, sostenni l’esame di Maturità, scelsi il tema dal titolo “Cosa significa essere figli del proprio tempo”. Spiegai che vuol dire ritrovarsi nelle idee e nelle usanze, giuste o sbagliate, della propria epoca e del luogo in cui si abita. Ci vuole coraggio a non essere figli del proprio tempo: si finisce incompresi. O emarginati. O incarcerati. O uccisi. La cultura cambia, la morale cambia, e ciò che allora era giusto oggi è sbagliato. E viceversa.
L’antirazzismo è un dovere morale. Il politically correct è, invece, moralismo. Ossia il tentativo di impancarsi ad eticamente superiori. E’ facile, e gratificante: io mi sento moralmente superiore a te, perché tu hai fatto questo e quest’altro di sbagliato. Visto che siamo uomini, quindi peccatori, trovare qualcosa di sbagliato in qualcuno è facilissimo. E di questo passo dovremmo abbattere tutte le statue, e cambiare in nome a tutte le strade. Non si salverebbero nemmeno i santi: anche loro avevano difetti.

Come disse Andreotti, uno che di peccati se ne intendeva, “ distinguerei le persone morali dai moralisti. Perché molti di coloro che parlano di etica, a forza di discuterne, non hanno poi il tempo di praticarla.”

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