Le indagini post-Parigi hanno portato le autorità di Francia e Belgio a concentrarsi in particolare su due quartieri “ghetto”, precisamente Saint Denis, periferia nord di Parigi e Molenbeek a Bruxelles.
E’ chiaro, la retorica dell’Isis fa presa dove c’è maggior disagio sociale, culturale ed economico e può fare molti danni. L’Isis ha capito che oggi c’è malcontento nelle città europee ed è lì che ha concentrato molta della propria propaganda, con tanto di messaggi in svariate lingue indirizzati a differenti contesti geografici: Russia, Balcani, Europa occidentale.
La propaganda da sola però non basta, c’è bisogno di un meccanismo ben “oliato” e sincronizzato che si occupa del processo di reclutamento. Un processo che non può essere lasciato al caso ma che necessita piuttosto di una serie di ruoli coordinati tra loro.

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L’analista russo Alexei Grishin ha illustrato bene il fenomeno del reclutamento introducendo le figure del “selezionatore”, del “propagandista” e del “reclutatore-facilitatore”, ciascuno con un compito ben preciso. Personaggi che si possono muovere su internet (social network, forum, siti di incontri) così come tra le comunità, una realtà non esclude l’altra.
Secondo Grishin ci sarebbero veri e propri approcci individuali al reclutamento, a seconda dell’età, del sesso, della condizione socio-psicologica del “candidato”. Un vero e proprio processo di “screening” col quale si individuano i “punti sensibili” sui quali far leva: risentimento nei confronti del contesto sociale, disagio economico, problematiche psicologiche di rilievo, esigenze personali. L’Isis promette un’identità, uno stipendio, il matrimonio, illude i potenziali reclutati di ricoprire un ruolo di tutto rilievo nella costruzione di un’entità statale secondo dei dettami religiosi totalmente decontestualizzati e manipolati, facendo leva sull’ignoranza.
Una teoria che poco piace ai teorici del “micro-reclutamento” via internet ma che sembra trovare riscontro nei fatti. Ho più volte sentito dire che propaganda e reclutamento avvengono principalmente in rete e non nei centri islamici, ma casi come quello di Bilal Bosnic, Bujar Hysa e Genci Balla confutano tale teoria, sia in Italia che all’estero. Bisogna inoltre tener presente i “gruppi marginali” che si possono creare all’interno di alcuni luoghi di culto, il cosidetto fenomeno “fondo delle moschee”, segnalato in diverse zone d’Europa tra cui proprio Saint Denis: “non si tratta tanto dei discorsi che fanno gli imam o le loro prediche ufficiali, piuttosto sono quello che si dicono i gruppi organizzati a margine e che scelgono i luoghi di culto per parlare” . Luoghi di culto ma non solo. Gli incontri possono infatti avvenire anche in bar, garage, sottoscala, cortili e ovunque si possa trovare sufficiente riservatezza.
Il processo di reclutamento non può essere immaginato come qualcosa di rigido, ma come mutevole e adattabile al contesto di riferimento e non può certo essere ridotto alla mera propaganda via internet.

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