Un caso complesso quello scoppiato nel Consiglio di Zona 2. Forse un “equivoco multiculturale”, la dimostrazione che non sempre è facile capirsi, oggi, a Milano, e discernere ciò che aiuta una giusta convivenza fra culture diverse. L’ho raccontato per l’edizione on line del “Giornale“:

In zona 2 la polemica scoppia sui contributi alle associazioni, e in particolare al coro dell’associazione «Al Qafila», «Voci di donne». Questo gruppo non piace affatto all’opposizione in Consiglio di zona, che lo chiama – «un coro di donne con il burqa» e considera «clamorosa» la decisione di finanziarlo con 2mila euro (che non sono molti, ma considerate le risorse a disposizione delle circoscrizioni, neanche poche). Nel progetto presentato da Al Qafila si parla di uno spazio di socialità, in via Padova, finalizzato al «dialogo interculturale», al «coinvolgimento» e alla «inclusione delle donne straniere».

Forza Italia contesta la decisione, in particolare con la battagliera Silva Sardone: «Il Consiglio – dice – ha discusso per un’ora la possibile concessione, proposta da noi, di 100 euro in più all’associazione genitori di Sant’Elembardo per organizzare la festa di natale con i loro figli diversamente abili (ragione le asserite limitate disponibilità finanziarie) e poi si impiega denaro pubblico in questo modo». Sardone non è affatto convinta della bontà del progetto: «Modello di inclusione e emancipazione come dichiara la sinistra? Neanche per sogno: le coriste cantano in uno spazio protetto dove gli uomini non possono entrare». «È scandaloso – dice – che con soldi pubblici si vada a sostenere in maniera sostanziosa, in un periodo di crisi, un’iniziativa di nicchia che coinvolge donne straniere che vivono evidentemente in contesti dove la donna è vista come essere da relegare in spazi chiusi, lontano dagli sguardi degli uomini. E’ questo il modello di integrazione che propone la sinistra? E poi come è possibile che nella stessa zona venga finanziato con una cifra tre volte minore un coro di voci bianche di 35 bambini (di tutte le etnie)?».

«Ma quali burqa?». Il responsabile dell’associazione che ha chiesto il contributo, Moukrim Abdeljabbar, respinge seccamente le contestazioni. E spiega: «La nostra attività è iniziata negli anni scorsi con un progetto di socializzazione e uno sportello destinato alle donne di via Padova. Donne di tutte le etnie. Da questa esperienza sono nate alcune iniziative, per esempio culinarie ed è nata l’idea di un coro, che non ha base etnica. Per il prossimo anno, non potendo più sostenere da soli tutte le spese, abbiamo chiesto alla Zona un contributo, come fanno tutte le associazioni della città. Ovviamente faremo il rendiconto di tutte le spese». E le donne? «Non saprei da dove nasca questa storia del burqa. Ci sono donne cinesi, egiziane, la gran parte sono italiane. Una o due avranno il velo». «Credo invece di sapere da dove nasca l’idea degli spazi chiusi. Noi parliamo di spazi progetti per le donne ma non fisicamente. Intendiamo spazi liberi, in cui una donna può essere se stessa».

Ma Sardone non molla: «Il responsabile dell’associazione ha detto in aula che ci sono 15-16 coriste fisse e che fanno le loro lezioni in questo spazio chiuso. Certo, ne danno una versione positiva ma lo ha spiegato lui, in aula, citando le donne con il burqa. Di sicuro questa non è integrazione o emancipazione, anche se la sinistra la chiama così».

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