La cattedrale di Tunisi è protetta da misure di sicurezza imponenti: agenti armati e sbarre anti-sfondamento. Fanno subito pensare ai jersey comparsi nei centri delle città europee dopo gli attentati terroristici di Nizza e Barcellona. Jersey che devono impedire gli attacchi ispirati alla car jihad, che da anni Israele conosce e paga sulla sua pelle. La chiesa, intitolata a San Vincenzo de’ Paoli e Santa Oliva, è stata costruita sull’area dell’antico cimitero cristiano di Sant’Antonio, il cui culto in città è antico e resiste, come testimoniano gli ex voto ben visibili accanto al portone principale.

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Il santo che ha legato il suo nome a Padova, fra i più amati nella Chiesa, era portoghese di nascita (Fernando Martins de Bulhões nacque a Lisbona il 15 agosto 1195 e a Padova morì il 13 giugno 1231). Aveva stabilito nella città veneta la sua residenza ma era molto presente fra le città italiane, anche per il suo incarico di ministro provinciale per l’Italia settentrionale dell’Ordine francescano. Dell’antico nome della cattedrale tunisina ci dà notizia una giovane cristiana che si trova seduta sulle panche, nel silenzio della chiesa. “Io sono egiziana” risponde un po’ sorpresa, quando le chiediamo se sia del posto. E ci mostra la tipica croce dei copti d’Egitto. I cristiani tunisini sono pochissimi. I circa 30mila che vivono nel Paese sono per lo più italiani e possono professare la loro fede solo all’interno delle chiese e degli edifici delle congregazioni religiose, ha spiegato di recente l’arcivescovo di Tunisi Ilario Antoniazzi, che nel 2013 ha fatto il suo ingresso nella Chiesa locale. Le suore della diocesi di Tunisi, l’unica del Paese, sono circa 90. I sacerdoti sono 40, di 15 nazionalità. L’Annuario Pontificio del 2008 riporta questi dati aggiornati al 31 dicembre 2007: 20.100 cattolici su una popolazione totale di oltre 10 milioni di abitanti, 35 preti, 28 religiosi e 126 religiose. Le parrocchie segnalate dall’Annuario Pontificio sono 10, mentre il sito ufficiale elenca 6 parrocchie: 2 a Tunisi (la cattedrale di Saint-Vincent-de-Paul e Santa Giovanna d’Arco), e una ciascuno a La Marsa (San Cipriano), La Goletta (Santi Agostino e Fedele), Susa(San Felice) e Gerba.

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Questa “libertà tollerata” della chiesa cristiana a Tunisi è il frutto di una storia tormentata, che nel 2015 ha vissuto due delle sue pagine più nere, con gli attentati al Bardo di Tunisi e poi all’hotel Sousse, che ha provocato 39 vittime. “Pensavamo tutti che dopo l’attentato al Museo del Bardo si potesse voltare pagina – ha detto in quella occasione Antoniazzi – Ci sembrava che il peggio fosse passato, che si potesse guardare di nuovo al futuro con speranza. E invece è crollato di nuovo tutto. Mi accorgo della sofferenza dei cristiani che sono qui: pensavano che la Tunisia avesse passato questo temporale. Purtroppo non è così. Ma noi, come cristiani, non ci sentiamo nel mirino più di altri. Siamo davvero parte di questo Paese, sappiamo di essere rispettati ed apprezzati. Certo, poi c’è una certa propaganda che passa in televisione o su Internet, rispetto alla quale siamo ovviamente più sensibili. Ma non riguarda il popolo tunisino nel suo insieme, che ha dimostrato di volere democrazia, libertà e pace». «Noi cristiani siamo qui proprio per sostenere la gente in questa resistenza e per dare loro speranza – aveva aggiunto – Anche perché siamo tutti nella stessa barca. Le bombe non distinguono tra cristiani e non cristiani». A Sousse, Antoniazzi aveva raggiunto padre Jawad Alamat: «La Chiesa è tra il popolo – aveva detto il parroco locale – noi soffriamo con la gente, preghiamo per il Paese e sosteniamo tutti gli sforzi perché la Tunisia continui sul cammino sano e pacifico che aveva cominciato». In quei giorni l’arcivescovo stava organizzando, con musulmani ed ebrei, un grande incontro nella Casbah, il cuore antico di Tunisi. E la storia dei cristiani in Tunisia si intreccia con un’altra pagina drammatica, la fuga degli ebrei tunisini. All’inizio del secolo scorso gli ebrei in Tunisia oscillavano fra le 50mila e le 65mila unità. Oggi sono circa 1.700.