Simone Crolla è Managing Director dell’ American Chamber of Commerce in Italy. Chi meglio di lui può spiegarci bene, a mente fredda e dopo 4 mesi dalla firma del memorandum of understanding, le conseguenze del nostro accordo con Pechino?

C’è chi, come il professor Sapelli, considera la Cina una potenza imperialista basata sul debito, c’è chi invece come Parag Khanna considera gli investimenti cinesi nella Belt and Road Initiative come positivi e, nonostante tutto, sottoposti ad un elevatissimo scrutinio politico e mediatico da parte dei paesi che ricevono i capitali cinesi. Da un osservatorio privilegiato come quello della AmCham, quale è invece il suo punto di vista?

Come American Chamber of Commerce in Italy non possiamo che guardare con una certa apprensione agli eventi che negli scorsi mesi hanno coinvolto il nostro paese e la Repubblica Popolare Cinese. Sebbene infatti il MoU presenti apparenti vantaggi commerciali per il nostro paese, sono diversi i punti opachi relativi a tale accordo che andrebbero analizzati. Prima tra tutte, la possibile parziale cessione della gestione di infrastrutture così strategiche, come i porti di Genova e Trieste, che comporterebbe un conseguente ridimensionamento della sovranità nazionale in settori molto sensibili sotto il profilo della sicurezza nazionale. Inoltre, l’annunciata rivoluzione digitale che il 5G sarebbe in grado di apportare in numerosi campi: sanità, sicurezza, trasporti, smart cities, dalla quale l’evoluzione delle nostre metropoli non può prescindere, costituisce uno strumento di dominio esclusivo delle aziende cinesi leader del settore hi-tech e conseguentemente del governo. Questa nuova dimensione del controllo digitale si pone in continuità con il ruolo sempre crescente attribuito ai dati (big data o megadati), assunti a merce di scambio prediletta tra le grandi potenze mondiali. Infatti, la pressoché infinita quantità di informazioni che è possibile evincere da queste “librerie” digitali rappresenta uno strumento tattico in grado di essere utilizzato anche in maniera fraudolenta (“sharp”) nel controllo costante dei cittadini e nella manipolazione del flusso di informazioni. Concludendo, l’afflusso di capitali cinesi ,che per alcuni rappresenta un segnale di rinnovata attrattività verso l’estero, esprime in realtà il tentativo cinese di penetrare nel sistema italiano sotto più punti di vista: commerciale, infrastrutturale e strategico.

L’Italia è strategicamente ancorata al G7, alla Nato ed in generale al blocco di paesi occidentali. Il problema è che in Italia consideriamo il Memorandum come un semplice accordo commerciale mentre in Cina come un solido accordo strategico. Sono solo diverse strategie di PR oppure c’è un disallineamento più profondo? Gli Stati Uniti come si stanno ponendo per ora?

La percezione che gli Stati Uniti, la Nato ed i paesi appartenenti al G7 hanno riguardo alla firma del Memorandum è sicuramente diversa da quella italiana. Il disallineamento ,da lei menzionato, sembrerebbe davvero esserci ed il confine che delimita l’accordo commerciale dall’effettiva penetrazione strategica appare essere sempre più labile. Preoccupa questa miopia tutta all’italiana nel non vedere i reali rischi e le implicazioni che questa nuova intesa avrebbe sul tanto citato interesse nazionale. L’Italia, uno dei primi paesi ad aderire alla Nato e potenza economica del G7, occupa da sempre una posizione altamente strategica: il centro del Mediterraneo, che nei decenni l’ha sempre resa baricentro delle alleanze internazionali. È quindi doveroso scongiurare ogni dissapore diplomatico e commerciale con i nostri principali partner e alleati d’oltreoceano. In un momento storico così delicato, come quello che stiamo attraversando, urge più che mai ritrovare fiducia nell’atlantismo e nel bilateralismo che dalla fine della Seconda guerra mondiale legano i nostri due paesi. In questo gioco di alleanze l’Italia può dirsi libera solo se “Atlantica”; uscire dal nostro tradizionale assetto in materia di politica estera potrebbe intaccare non solo la nostra economia, ma anche la sicurezza dei cittadini, la loro privacy ed inevitabilmente le garanzie che la nostra Repubblica garantisce.

È possibile dire che il dossier della Belt and Road abbia influenzato anche il dossier libico? Trump ha appoggiato repentinamente Haftar, per ora sul fronte opposto rispetto all’Italia. Questo cambio ha messo in difficoltà il nostro governo. È possibile pensare che Trump abbia preso questa decisione anche in conseguenza del nostro avvicinamento a Pechino?

Gli Stati Uniti hanno espresso chiaramente le proprie rimostranze riguardo la firma del Memorandum con la Cina. In primis, attraverso il possibile inasprimento dei dazi commerciali conseguente alla visita del Primo Ministro Xi Jinping. Sul dossier libico invece la situazione sembrerebbe non essere altrettanto chiara. Infatti, la telefonata in cui Trump dichiara il pieno appoggio al generale Haftar ha sorpreso gli analisti di tutto il mondo anche per il tempismo con cui viene resa nota: appena dopo la firma del MoU. La decisione di Trump di sostenere Haftar piuttosto che al-Sarraj potrebbe derivare in realtà anche da altri fattori, in particolare dalla debolezza del governo centrale di Tripoli e del suo rappresentante; così facendo, gli USA avrebbero semplicemente deciso di “puntare” sul contendente maggiormente in grado di stabilizzare l’area. Riassumendo quindi: la scelta statunitense deriva da un’analisi del contesto geopolitico locale che prescinde dall’intesa italiana con la Cina, tuttavia il momento in cui viene comunicata e resa nota questa scelta è sintomatico della legittima preoccupazione statunitense verso questa apertura italiana verso oriente.

 

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