Come sapranno i lettori di questo blog, io ho un attaccamento smisurato verso il mio territorio d’origine, le Marche, e sono un grande appassionato di industria, quella old style. Per questo nei giorni scorsi sono andato a visitare la NEREA, una fabbrica di imbottigliamento che si trova a Castelsantangelo sul Nera, un piccolo paesino in mezzo ai monti Sibillini completamente raso al suolo dal terremoto del 2016.

Ho incontrato Benedetto Cesaretti, direttore delle operazioni della fabbrica, che mi ha fatto da Cicerone nella fabbrica e mi ha spiegato un po’ di cose sulla ripresa dell’attività industriale nel post terremoto e sulle prospettive industriali della NEREA.

Il problema, secondo Cesaretti, è che dopo che sono state costruite le casette SAE, sembra che il problema sia stato risolto. Invece ci sono ancora le macerie da portare via e la ricostruzione vera da avviare, mentre e la fabbrica impiega operati ed amministratori che abitano in case d’emergenza o che si sono dovuti spostare molto lontano. Nonostante la NEREA ora faccia profitto, in realtà tutti gli interventi di manutenzione post terremoto se li son pagati di tasca loro, senza aver ricevuto ancora nessun aiuto da parte dello Stato. I danni sono stati infatti di un milione e mezzo circa. Oltre alla tegola del terremoto, che ha costretto la fabbrica a periodi di inattività e drenato risorse, anche lo Stato Italiano ci ha messo del suo per intralciare il business di questa impresa fiore all’occhiello.

La plastic tax, infatti, andrà a colpire direttamente gli affari della NEREA e Cesaretti stima che i costi della tassa, secondo la sua prima attuale formulazione, saranno addirittura quasi il doppio rispetto agli attuali profitti.

Si capisce che una situazione così non ha senso e Cesaretti, così come tutte le persone di buon senso, pensa che la tassa non c’entri assolutamente nulla con l’ecologismo ma che sia un semplice modo per far cassa. Infatti la NEREA, ma come tutte le altre società di imbottigliamento, saranno giocoforza costrette a scaricare i costi della tassa sui consumatori, con un aggravio dei prezzi non indifferente.

Tra l’altro, Cesaretti lancia un altro messaggio molto importante, che riguarda la sbagliata equivalenza che spesso si fa tra uso della plastica ed inquinamento. “Sostituire dal punto di vista ambientale la plastica significherebbe avere dei materiali alternativi, vetro, metallo, alluminio, che dal punto di vista ambientale hanno un impatto molto maggiore. Se vogliamo paragonare la plastica col vetro, mettendo in considerazione emissioni CO2, consumo energetico, consumo di acqua per la produzione e altri fattori di inquinamento ambientale, il rapporto con la plastica è di circa 14 a 1. Cioè significa, a grosso modo, che produrre un kilo di vetro equivale a produrne 14 di plastica.” Se vogliamo veramente occuparci delle generazioni future, continua Cesaretti, “dobbiamo capire che non esiste un materiale migliore dell’altro, ogni materiale ha determinate proprietà e caratteristiche di riciclabilità che meglio si possono adattare ad un’applicazione piuttosto che un’altra. Sta a noi avere la capacità di saper sfruttare in maniera intelligente ed al meglio queste caratteristiche al fine di minimizzare gli impatti ambientali ed essere più sostenibili possibile, evitando slogan demagogici che, in nome dell’ambiente, rischiano di peggiorare drammaticamente l’attuale situazione.”

Cesaretti aggiunge un’altra considerazione: perché punire le imprese per dei comportamenti sbagliati di segmenti della popolazione?

“Se vogliamo parlare di sostenibilità ambientale e vogliamo essere onesti dobbiamo dire che la plastica ci aiuta a essere sostenibili. Non possiamo condannare il mezzo. Se poi la bottiglia viene gettata in mare o nei boschi, la colpa non è della bottiglia di plastica. La colpa è di quel consumatore ineducato, incivile, che non ha avviato lo smaltimento corretto della bottiglia di plastica. Ma fosse stata di vetro, probabilmente non ce ne accorgeremmo perché quando lo lanciano dalla macchina si rompe e quindi semplicemente non me ne accorgo, se la butto in acqua affonda, quindi, non la vedo. Non ce la possiamo prendere col contenitore, ce la dobbiamo prendere con la nostra cultura e i nostri comportamenti. E dobbiamo fare uno sforzo perché aumenti il riciclo di plastica a livello nazionale.”

Oggi la NEREA, nonostante le difficoltà del terremoto ed i bastoni fra le ruote che la classe politica vorrebbe mettere al suo business, è una piccola azienda che esporta e che ha vocazione internazionale. Sono anni infatti che l’azienda esporta in Giappone, in Cina, nei paesi arabi, soprattutto la zona degli Emirati Arabi Uniti ed in Germania. Ora per chi legge il mio blog può sembrare strano, ma la NEREA sta attivando dei contatti col Venezuela e con la Libia. Due territori difficili, ma si sa: chi l’ha dura la vince.

 

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