latte sardegna

Solidarietà ai pastori sardi, agli agricoltori siciliani, calabresi, pugliesi, romagnoli, solidarietà agli allevatori veneti, piemontesi, ai produttori di olio d’oliva toscani e umbri, solidarietà a tutti gli italiani che lavorano nella filiera agricola e nell’allevamento e contribuiscono a conservare la secolare tradizione della civiltà contadina che è parte della nostra storia e identità.

Solidarietà e vicinanza non solo per la protesta di cui sono promotori in questi giorni i pastori sardi ma per la condizioni di lavoro in cui sono costretti a operare da ormai troppi anni a causa di scelte politiche scellerate dei nostri governi che hanno immolato le ragioni e il lavoro di centinaia di migliaia di italiani al tavolo dell’Unione europea siglando accordi che assicuravano nel breve periodo sussidi e fondi comunitari ma che alla lunga avrebbero affossato settori strategici come l’agricoltura e l’allevamento.

Assistiamo così al paradosso per cui è più conveniente non raccogliere i frutti dalle piante o gettare il latte in strada piuttosto che venderlo visto l’irrisorio prezzo con cui viene acquistato per poi essere immesso nei circuiti commerciali.

Così facendo, da un lato si distrugge una filiera e si provoca la perdita di posti di lavoro vista l’impossibilità di sostenere i costi a fronte dei guadagni irrisori determinati dall’attuale sistema e dall’altro lato si costringono i cittadini italiani a consumare prodotti importanti dall’estero con una qualità minore, un costo maggiore e senza sapere quali siano i processi di produzione. È diventato virale il video di un tir proveniente dalla Francia bloccato dai pastori nei pressi di Porto Torres con all’interno carne di maiale conservata in un pessimo stato e destinata alla grande distribuzione.

È assurdo che una nazione come l’Italia debba svendere il frutto del lavoro di tanti propri figli che in un mondo sempre più globalizzato in cui è in atto un progressivo spostamento dalle campagne verso le grandi città, continuano a svolgere nobili professioni come il pastore o l’agricoltore conservando la nostra identità popolare. Ed è contro il buon senso che al tempo stesso per soddisfare il fabbisogno e i consumi nazionali si debbano importare dall’estero (addirittura da stati extra UE) gli stessi prodotti a condizioni economiche e qualitative più svantaggiose.

L’auspicio è che la protesta dei pastori sardi possa smuovere le coscienze dell’opinione pubblica e soprattutto possa portare a una revisione degli accordi che tuteli in primis i nostri allevatori e agricoltori.

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