Cosa c’è di meglio di uno scandalo di plastica per coprire guai veri? Nulla. Il superprefetto Francesco Paolo Tronca, nei primi mesi del suo commissariato capitolino, deve essersi sentito un po’ Ignazio Marino, quello venuto da Marte con la sua bici e rispedito di corsa sul pianeta rosso: ieri come allora strade rotte, Lungotevere chiuso per guano, metropolitana a singhiozzo, traffico impazzito e altre amenità simili. Insomma, quasi nessuna differenza tra il prima e il dopo, coi i romani imbufaliti a chiedersi se non fosse meglio tenersi il marziano, e qualche giornalone (timidamente, per carità) a domandarsi se Gattopardo Renzi non c’avesse messo lo zampino, facendo in modo che tutto cambiasse perché tutto restasse uguale. E d’improvviso ecco Tv e prime pagine a servire nelle case il piatto forte: grazie al commissariamento s’è scoperto che a Roma il Comune è proprietario di centinaia di immobili in zone di pregio, ceduti in locazione a prezzi ridicoli. Al mese, a meno di un panino e una birra. Dalle parti del Pd, compreso l’aspirante primo cittadino Roberto Giachetti, si sono lanciati nel mare della tempesta mediatica per provare a cavalcare l’onda. «Ignobile, grida vendetta a Dio», ha tuonato Bobo, senza specificare a quale Eccellenza divina si riferisse: se a quella dei Cieli o a quella, laica e prosaica, degli affitti. E mentre piè veloce Orfini si precipitava a tirar fuori le lettere vecchie di qualche mese con cui s’appellava al Municipio per poter saldare la pigione delle sezioni di partito ospitate nelle case comunali (quasi a voler dire: io il conto volevo pagarlo, ma non ha mai risposto nessuno, nemmeno Tronca), un pochino più a sinistra l’eretico Fassina si divertiva a pungere: «Il Comune di Roma non conosce il proprio patrimonio. È così da decenni». Come se fosse normale che lui, romano de Roma ed in zona Pci-Pds-Ds-Pd da decenni, non s’accorgesse mai di nulla.1423646959-roma-cupolone

Proprio qui sta il punto: accorgersi di qualcosa. Perché per toccare con mano il marcio non c’è bisogno del superprefetto, né dei titoloni dell’ultim’ora. Basterebbe un po’ di memoria.

Già: la memoria. Ad averne, almeno un briciolo, si sarebbe potuto risparmiare lo scandalo di plastica. Il caso degli affitti stracciati era già scoppiato, peraltro sempre col nome di Affittopoli (!), un anno fa, raccontato nei verbali dell’inchiesta Mafia Capitale. Tanto che, nella primavera del 2015, il vituperato Marino col suo assessore già pm Alfonso Sabella aveva insediato una task force (che non si nega a nessuno e fa chic) assicurando: «Accerteremo chi ha illegalmente subaffittato e chi non aveva titolo per occupare gli appartamenti e, se scopriremo reati, li denunceremo in procura». Ancor prima se n’erano occupati, nei loro libri sui misfatti della Casta, i giornalisti Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, ed i consiglieri di opposizione della lista Marchini. Con tanto di elenco degli appartamenti ceduti ai partiti, come quello dato al Pd in via dei Giubbonari, alle spalle del ministero della giustizia. Ma a voler sbirciare oltre la siepe della storia, ci si accorge che nel 1995 a portare alla ribalta la vicenda era stato Il Giornale, con una minuziosa inchiesta giornalistica. E che già nel 1977 Affittopoli muoveva i primi passi: il sindaco era Carlo Giulio Argan e su sua denuncia la magistratura accendeva i riflettori sul destino di 2002 case, assegnate per lo più a uomini vicini alla Dc.

Tanto tempo è passato da allora. In Campidoglio sono cambiati facce e nomi, ma Affittopoli è rimasta. Nessuno l’ha sconfitta, tutti la ripropongono. A turno, all’ora dei pasti televisivi o giù di lì, come il Cynar: ottima, contro il logorio della vita moderna.

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