C’è un giudice a Milano. Non ne scrivo il nome perché non conta tanto chi sia, quanto piuttosto quello che sostiene coi suoi atti giudiziari. Attraverso uno di questi, nei giorni scorsi, ha ordinato che venga concesso il permesso di soggiorno ad un ventiquattrenne del Gambia. Non fuggiva, il giovane, da zone di guerra. Neppure se l’era data a gambe per sfuggire a tiranni e despoti. Semplicemente, cercava un posto al mondo dove poter lavorare, guadagnare di più, vivere meglio. Per realizzare il suo sogno aveva scelto il Belpaese. Per la legge italiana, però, un desiderio irrealizzabile: un conto è accogliere chi scappi da bombe e fucili e dittatori, un altro chi lascia la sua terra per inseguire altrove la felicità. Nel senso che per molti, ma non per tutti, può esservi posto.

giustizia-bilanciaQuesto banale, logico principio, perennemente in fragile equilibrio tra le ragioni del cuore – che spingono per non lasciar fuori nessuno – e quelle della realtà, per cui non per tutti ed a tutto si può materialmente ovviare, è stato stracciato dal magistrato milanese. Cosa ha argomentato il nostro? Una tesi che potrebbe cancellare il concetto stesso di confine. Testualmente: “Il rimpatrio di chi nel Paese di origine non gode di condizioni di vita sopra la soglia di accettabilità porrebbe l’interessato in una situazione di estrema difficoltà economica e sociale, imponendogli condizioni di vita del tutto inadeguate, in spregio agli obblighi di solidarietà nazionale e internazionale”. E via con rimandi a sentenze della Corte di Cassazione e ad articoli della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo per spiegare che i migranti, non solo i profughi e i rifugiati politici ma anche quelli che si spostano per motivi prettamente economici, hanno diritto a entrare e rimanere in Italia. E ad ottenere, come per il giovane gambiano, il permesso di soggiorno.

Ora: se la rispettabile, discutibile opinione giuridica – al momento isolata – diventasse regola nelle corti chiamate a valutare i respingimenti operati dalle Commissioni territoriali, le conseguenze sarebbero inevitabili. Probabilmente catastrofiche. Certo epocali: dai quattro angoli del pianeta a milioni (ma per mandare gambe all’aria la traballante Italietta, già avara con gli italiani, ne basterebbero anche poche decine di migliaia) si metterebbero in marcia verso le coste ed i valichi italiani per venire a cercare fortuna. Nessun cenno, nell’ordinanza, alla fattibilità dello scenario schiuso dalla decisione di disapplicare sostanzialmente, reinterpretandole, le norme vigenti. Nessun approfondimento sulla sua sostenibilità economica e sociale. Come a dire: fatta (o rifatta, a seconda dei punti di vista) la legge, chi deve la faccia rispettare. E come al solito, poi, se qualche tra il dire e il fare qualche problema sorge, che se la sbrighino gli italiani.

Geniale. Se insieme alle frontiere si potesse abolire, a questo punto, anche la magistratura, sarebbe anche perfetto.