Sono scomparsi i padri. Non quelli con la talare, anche se pure loro sono sempre meno. No: l’estinzione colpisce i papà. Un vuoto che causa anche disoccupazione. Per dire: Andrea Cornelli, tecnico di una squadra di calcio di giovanissimi, l’Atletico Torino, s’è dimesso in protesta contro i signori sulla quarantina che si presentavano agli allenamenti imponendogli chi inserire in distinta e chi invece lasciare negli spogliatoi. «Pretendevano che i loro figli giocassero sempre. Volevano decidere anche che ruolo dargli. Dimenticano però che il rispetto e l’educazione vengono prima di ogni cosa», li ha spernacchiati sbattendo la porta dello spogliatoio. A Borgaro Torinese i dirigenti di una società di juniores sono stati costretti ad appendere un cartello ai cancelli dello stadio, con la speranza che qualcuno lo legga e, soprattutto, intenda: «Cari genitori, ricordate che l’allenatore ha il compito di allenare, l’arbitro di arbitrare, il bambino di giocare». Speranza vana, a sentir Paolino Pulici, vecchia gloria granata ed oggi guida del settore giovanile della lombarda Tritium: fosse per lui, in campo schiererebbe ogni volta – ipse dixit – sempre e solo «la squadra degli orfani».12243170_979019982154987_675352140936922620_n-1

Invadenti, irresponsabili, maleducati: i papà d’oggi (non tutti, per fortuna) sono i figli della società senza padri teorizzata nel Sessantotto sulle ali della rivolta contro la sottomissione, il conformismo e l’obbedienza, in nome della libertà, dell’emancipazione, della fantasia al potere. Grandi ideali, forse. Di sicuro, pessima applicazione pratica. Di quella stagione restano molti cocci. Ma a pagare il conto non è chi ha rotto. Sono gli ultimi arrivati. Che quando gli va bene si ritrovano in giro per casa un uomo (o un genitore a o b, come va di moda adesso) preso dal lavoro, dalla carriera, dai soldi, spesso frustrato e rancoroso, ostinato nel voler fare a tutti costi dell’erede un campione: nello sport, nello studio, negli affari. Una copia conforme di sè o, ancor peggio, di ciò che lui avrebbe voluto essere. E non è stato.

Hooligan del focolare domestico. Meriterebbero il Daspo. Più che per non poter accedere per qualche tempo alle tribune (come capitato a febbraio nel Modenese ad un paio di ebeti pallonari), per essere tenuti a distanza di sicurezza dai figli. Da quei ragazzi che hanno disperato bisogno di genitori e responsabilità, non solo di tifo e capricci.

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