Ieri a Bari una ragazzina di 15 anni sarebbe stata violentata a turno da cinque suoi conoscenti, il più piccolo sedicenne il più anziano diciottenne. Tra loro il suo ex fidanzatino, che l’avrebbe attirata in trappola con la scusa di offrirle un gelato prima di abusare di lei e cederla in premio, come capobranco, agli altri lupi affamati di sesso.stupro di gruppo-2

Questa la notizia. Sui fatti sono in corso indagini. Ma una qualche riflessione è già possibile, non fosse altro perché gli episodi di violenza, specie su adolescenti e bambine, sono in costante aumento. E’ evidente il fallimento educativo: le famiglie in primis, e con loro la scuola, la Chiesa e tutti gli altri soggetti – istituzionali e no – che storicamente hanno concorso all’educazione ed alla formazione degli italiani, sono a pezzi. Ad indebolirli non solo carenze interne, come la crisi (o il mutamento) dei valori di riferimento, ma anche il repentino cambiamento culturale, quasi mai interpretato con tempestività. Lo Stato, inteso quale detentore del potere di fare le leggi ed attuarle, ma pure le sue articolazioni a livello territoriale, in particolare Comuni e Regioni, hanno agevolato questo processo di disgregazione, favorendolo persino sul piano economico, dove la rete che teneva tutti insieme s’è dissolta anche per ragioni di cassa. Con le famiglie, ad esempio, lasciate in balìa della deregulation del lavoro, che se può valere sotto il profilo della definizione dei confini in cui può (e deve) muoversi il mercato, non può diventare regola per soggetti sociali che senza sostegno non hanno presente, figurarsi futuro. Su altro versante, quello del sentire comune nei riguardi dei figli, poco c’è da approfondire: le nuove generazioni sono progressivamente diventate cimeli da ostentare, con genitori ormai proiettati a fare della discendenza l’ologramma di ciò che essi prediligono, o addirittura di quel che avrebbero voluto essere e non sono stati: magari bimbi calciatori milionari per il piacere di padri sfegatati tifosi, bimbe veline da copertina per la gioia di madri da vetrina.

Certo, generalizzare sarebbe errato, e resistono ovunque e in ogni ambito modelli di una diversità che sarebbe normalità non si vivessero tempi d’emergenza. È questa l’amara constatazione alla quale, comunque la si pensi, non si può sfuggire. I giovani di oggi, rispetto a chi li ha preceduti, conquistano più tardi l’effettiva maturità psicofisica, ma diventano cittadini del mondo (nel bene e nel male) ben prima dei 18 anni ai quali la legge – figlia di un’era in cui i telefoni sui quali adesso viaggiano le immagini degli stupri appena consumati erano ancora a muro – ricollega conseguenze giuridiche chiare, come la responsabilità piena dei crimini eventualmente commessi.

È evidente che un sistema così congegnato non può più reggere, a meno di non dare per scontata la silente tolleranza di reati – che non sono solo quelli di matrice sessuale – commessi da infradiciottenni e, con frequenza crescente, da chi addirittura ha meno di 14 anni e dunque non è neppure imputabile ma semplicemente soggetto a misure di sicurezza di cui la realtà dimostra l’inutilità.

È palese come il sistema penale minorile, con le sue pene attenuate volte al reinserimento sociale del minore colto a delinquere, non si dimostri efficace nel contrasto dell’emergenza sociale che avanza, complice anche il disinteresse dello Stato per la definizione e la concreta attuazione dei percorsi di rieducazione.

Ma se prevenzione e reinserimento vanno ripensati, nelle more non resta quale soluzione ed argine che la repressione. Inevitabilmente: chi a 16 anni violenta una fanciulla che di anni ne ha altrettanti non può avere diritto alla sostanziale impunità. Vada in carcere, sperimenti in concreto la privazione della libertà e dei lussi, sconti per intero la pena che gli spetterebbe se fosse adulto, e quando esce provi a rifarsi una vita. Come tenterà di fare nel frattempo, probabilmente senza riuscirvi, la sua preda. Oggi l’unica vera vittima di un sistema che premia i carnefici. Anche quelli in tenera età.

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