Hitler è vivo! O almeno le parvenze del suo agire. Dosi massicce di hitlerismo sono state paradossalmente inoculate attraverso il mantra della ‘società liberale’, salvo poi scoprire divieti ed assurde censure quando, per esempio, lungo l’incedere estenuante di ogni santo giorno, ci imbattiamo in qualche termine da non usare, in un concetto da non esprimere, in qualche idea da non manifestare apertamente.

Dosi massicce di hitlerismo sono state inoculate perché, mentre là fuori si sbraita per le libertà, sono in realtà diventate  sempre più strette le maglie di quello che Günther Anders avrebbe definito ‘totalitarismo morbido’.

Ovviamente a darci i tempi non è più l’imbianchino austriaco con baffetti bizzarri ma accademici in loden e manager in grisaglia. In alcune aree dell’Europa questo totalitarismo ha subito addirittura trasformazioni genetiche. Di tanto in tanto veste i panni di una rispettabile Cancelliera con caschetto biondo e frangetta, originaria della Germania dell’Est e a capo di un partito cattolico. L’ho riconosciuto anche nei burocrati di Bruxelles, operosi come insetti da termitai e cinici come boss mafiosi. Ne ho scoperte le trame nel TTIP. Ho identificato il suo moderno imperialismo in certe visioni economiche, in talune operazioni finanziarie, in spregiudicati giri di valzer di multinazionali potentissime e in losche manovre di banche internazionali sempre pronte a privatizzare gli utili e socializzare le perdite. L’ho sperimentato nel disprezzo in cui si seppellisce un popolo come quello greco e nella inflessibile disintegrazione dell’identità di ogni singolo popolo europeo. L’ho percepito nella progressiva riduzione del welfare e delle garanzie previste dal diritto del lavoro, nell’innalzamento dell’età pensionabile e nella precarizzazione del lavoro.

Ed in quota infinitesimale lo rivedo anche nella stolta arroganza di chi decide cosa debba (o non debba) pubblicare un quotidiano quando porta in edicola il Mein Kampf o in una legge che punisce i reati di opinione.

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