Vi immaginate se il refrain ‘Prima gli italiani’ col quale neo-sovranisti, tardo destristi e nazionalisti del terzo millennio tappezzano quotidianamente i muri delle nostre città e si sollazzano taluni nostri politici, fosse supportato da una legislazione che ne attuasse nella pratica gli intenti? Cioè se divenisse programma di governo con l’opportunità di permeare nel concreto l’azione pubblica attraverso politiche industriali e sociali con l’intento strategico di dare priorità ai nostri connazionali?

Alla levata di scudi dei soliti intellettuali in servizio permanente effettivo e dei parlamentari usi a crogiolarsi nella mestizia di concetti ormai vuoti come democrazia e uguaglianza, seguirebbero dichiarazioni dalle varie associazioni di categoria, dei sindacati, di prelati di vario ordine e grado e via di questo passo.

Eppure, nella democratica Austria, il cancelliere socialdemocratico Chiristian Kern, per combattere la disoccupazione che, tra l’altro, è tra le più basse in Europa, ha dichiarato che le aziende del suo Paese dovranno dare assoluta precedenza nelle assunzioni ai cittadini austriaci. Lo ribadiamo: lo ha detto un socialdemocratico e non un pericoloso demagogo. Gli stranieri potranno essere assunti soltanto in quei posti dove non vi sarà disponibilità di manodopera nazionale. Stop, dunque, ai lavoratori che, secondo Kern potrebbero ricevere uno stipendio ‘austriaco’ ma continuare a pagare contributi previdenziali del Paese di provenienza e che in linea di massima sono sempre più bassi.

E allora, cosi fa? Ci soffermiamo su questa ultima sottolineatura che sembra circoscrivere la questione nei termini dei contributi previdenziali oppure le diamo un ampio respiro e comprendiamo finalmente la gravità storica del problema? Accusiamo (come già sta accadendo) il socialdemocratico Kern di essere un inconsapevole razzista pronto a scimmiottare le crescenti orde di populisti o tentiamo di venire a capo di una situazione kafkiana dove, pur in assenza di nuovi posti di lavoro, c’è chi vuole stessi diritti per gli immigrati? E perciò pretende posti di lavoro che non esistono.

E se invece prendessimo consapevolezza del fatto che tale scelta è obbligata da tempi grami dove aumentano a ritmi spaventosi poveri ed emarginati? Perché basterebbe un minimo di buon senso; leggere la realtà senza lenti deformanti.

Ed invece, immagino cosa potrebbe accadere in Italia. Dalla antropologia alla psichiatria tutti gli ambiti scientifici sarebbero tirati in ballo per decrittare una scelta di questo tipo. Non se ne comprenderebbero gli intenti, tantomeno verrebbe analizzata la questione incorporandola in una epoca di stagnante crisi economica.

Il peggioramento progressivo delle condizioni di vita di tutti impongono priorità e non belle parole ma di sicuro saremmo inondati di buonismo e la vicenda finirebbe lì, nel magma indistinto della retorica più becera.

 

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