Segretario del Frontecccccccccccccc della Gioventù di Trieste e nel 1977 vicesegretario nazionale, poi consigliere comunale del Msi, Almerigo Grilz è sconosciuto ai più. Militante appassionato, trovò la morte a soli 34anni e perciò nella simbolica sempre molto affollata della destra italiana occupa un suo piccolo spazio. L’immagine iconica è fissata in quella foto con macchinetta a tracolla, penna in mano, barba lunga, figura da smilzo come se digiunasse da giorni e sguardo furbetto trasognante.

Come per un infelice presagio il giorno della sua morte uno sciopero impedì che la notizia fosse compiutamente divulgata. Ma quell’accenno nei confronti del primo giornalista italiano caduto ‘in battaglia’’ dalla fine della Seconda guerra mondiale ne marchiò il ricordo. Il suo nome ora compare anche sul monumento eretto in Normandia, a Bayeur, la prima città francese liberata il giorno dopo il fatidico D-Day, e dedicato a tutti i reporter uccisi nel mondo dal 1944.

Qualche tempo fa Trieste gli aveva dedicato una via e a Settembre l’editore Ferrogallico pubblicherà un fumetto dal titolo Avventure di una vita al fronte. Intanto si moltiplicano le iniziative in suo ricordo. Grazie all’associazione Spazio InAttuale è possibile visitare una mostra aperta fino a metà maggio proprio a Trieste mentre è di recente pubblicazione I mondi di Almerigo curato da Pietro Comelli e Andrea Vezzà. Un bel volume ricco di aneddoti e immagini dietro le quali possiamo scorgere, senza troppa fatica di immaginazione, anche la vita di un paio di generazioni di nostri connazionali che combinarono come Grilz, la passione ideale all’esercizio della vita quotidiana persa tra l’avvio disordinato verso una qualsivoglia professione e svaghi tardo adolescenziali.

Il suo fu un breve ma intenso viaggio che lo porterà a conoscerà realtà, volti e storie in ogni parte. Un viaggio della vita che lo aveva intrigato sin da bambino quando, appassionato di fumetti e di disegno, pensò di creare delle vere e proprie ‘strisce’ come quella sulle avventure di Julian Grimwood. Ma quelle battaglie immaginate divennero ben presto realtà. Dal volume apprendiamo che Almerigo, a soli 13anni, si vide sparato addosso il primo lacrimogeno. Frequentava la scuola media e quell’oggetto gli arrivò casualmente su un piede. Si stava precipitando a casa di un amico con una piccola macchinetta fotografica per documentare i disordini. Fu lì che inconsapevolmente gli si parò dinnanzi il futuro visto che di quegli scontri abbiamo testimonianza fotografica grazie a lui, reporter in erba.

Studia tedesco come, allora, quasi tutti i triestini ma passa le prime vacanze nei college di Londra perché avverte la necessità di imparare la lingua dei decenni successivi. Intanto partecipa alle occupazioni della scuola nel 1969. Lo fa da militante e da ‘raccontatore’. Con una penna biro di colore blu o nera disegna e rappresenta tutto quanto è intorno a lui: moti di piazza, scontri, cortei degli extraparlamentari, manifestazioni di Avanguardia Nazionale e del Movimento sociale. Descrivere e perciò ‘vivere’ tutto quanto si muove nella società del tempo diventa necessità vitale.

Ma è pur sempre un giovane che vive gli anni settanta, che gira in autostop e dorme negli ostelli. Con capelli che si fanno più lunghi, l’odio per la cravatta e addosso scarpe da ginnastica, occhiali Ray-Ban, giubbotto di pelle o trench nero. Alcune foto lo immortalano con la 850 Fiat, auto che non regge le tratte verso le mete ambite del nord Europa. Tratte sempre più lunghe perché il mito delle ‘nordiche’ bionde, alte, è immagine icastica e sogno di varie generazioni. Ecco perché nel volume lo vediamo ritratto insieme a bellezze danesi e svedesi. Farà dunque più volte ritorno a Stoccolma e poi a Helsinki, Lanti, Tampere, Oulu, Koupio. Peraltro, il fatto che si muovesse con auto improponibili gli permetteva di protrarre il viaggio oltre il previsto e marcarlo con tante mete intermedie tra piccoli paesi, serate in discoteca e nuove amicizie. Inomma, era una ottima scusa per ritardare il ritorno a casa.

Ma il nord Europa era metafora anche di libertà. Per arrivare in quei luoghi ci voleva un giorno intero di tragitto; quasi 2300 chilometri passando per la Slovenia, l’Austria, la Repubblica Ceca, la Polonia, la Lituania, la Lettonia, l’Estonia. Il capriccio non dichiarato era quello di attraversare la ‘cortina di ferro’ e i molti Stati sotto diretta influenza dell’Urss con la conseguente sequela di passaporti da timbrare e il capillare sistema di controllo delle polizie comuniste che rendevano questi itinerari on the road delle esperienze incredibili anche sotto il profilo politico.

In Italia la situazione era meno dilettevole e Almerigo si calava nella parte non disdegnando gli scontri di piazza anche perché la contrapposizione fra destra e sinistra conobbe da noi quest’unico risvolto. Ma arrivò il momento di scegliere cosa fare della sua vita. Nonostante il percorso universitario fosse inframmezzato anche da una sospensione dalle lezioni per via di scontri tra studenti di opposte fazioni e da varie altre vicende, riuscì a laurearsi. A quel punto non poteva andare oltre. Le strade erano tre: avvocato (discusse una Tesi sul terrorismo e la lotta armata in Italia), giornalista o politico? Per poco tempo permarrà nella volontà di fare politica. Poi, intuì che per mantenere inalterati tutti i suoi interessi c’era una sola cosa da fare: girare il mondo e raccontarlo. Così da Beirut in poi, la sua vita prende la piega definitiva. Afghanistan, Pakistan, Iran, Birmania e decine di altri posti e guerre, conflitti intestini e contese disumane. Incontrando persone, scrivendo, fotografando, disegnando e fondando l’Albatross Press Agency insieme a Fausto Biloslavo e Gian Micalessin.

Questa ultima avventura, quella fondamentale di reporter di guerra, non durò molto. Trovò morte prematura in Mozambico nel maggio del 1987. La madre ha voluto che fosse sepolto lì, in quel Paese, all’ombra di una quercia secolare. A memoria di un girovagare che lo aveva tenuto sempre lontano dalla sua terra ma che era stato il fulcro vitale della sua esistenza.