E’ morto Gastone Moschin. Aveva 88 anni. Nato come attore di teatro, aveva raggiunto il grande pubblico con Amici miei.  Ne ‘ Il cinema delle stanze vuote’,  abbiamo ricordato il  suo connubio con Pietro Germi.

Eccone un brevissimo brano.

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I luoghi del regista Germi sono regioni, province e piazze che si impongono in nazione italiana. In Signore&Signori, film del 1965, il territorio è un’ode mortuaria alla provincia veneta che è rappresentativa di qualunque piazzetta nostrana. È la meschinità che si fa luogo, zona, terra. La fiera delle vanità della prima domenica del mese, di vanagloria della seconda, di vana ostentazione nella terza e quarta in diverse circoscrizioni. L’opera è divisa in tre episodi e figura come il prequel amaro di Amici miei, diretto da Monicelli nel 1975, per la morte di Germi un anno prima.

Gli episodi non sono importanti nello sviluppo del film, quanto nel delineare la mole di empietà che attraversa l’essere umano. E la meschinità come la passione in Un uomo di paglia è ancora una volta fortemente democratica: avvinghia tutti in­distintamente. L’individuo messo davanti a una precisa scelta, tra il plumbeo bene e l’adrenalinico male, sceglie la scarica del secondo. Anche qui non si fanno innocenti, chiunque è facilmente inquinabile.

L’analisi di Germi è spietata senza mai farsi moralista e moralizzatrice. Gli abitanti del palazzo di piazza Farnese in Un maledetto imbroglio evolvono a distanza di pochi anni nei burattini borghesi della provincia veneta. Sono mossi dal vizio – quello più turpe fine a se stesso – dal tradimento e da rituali falsamente stimolanti. Sono maschere dentro le maschere. Non vi è alcuna ricerca di autenticità. Lo squallore è social­mente accettato e condiviso tra falsi sorrisi e perfide parole. ‘Pecunia non olet’ descrive il loro credo, il denaro è innanzitutto riparatore; anche l’azione più raccapricciante trova salvezza nei quattrini.

Lo sguardo amaro di Germi esplora una profondità che è abisso senza epilogo. La provincia è la terra del nulla, portata in trionfo come il tutto. Non si odono suoni fanciulleschi a sedimentare una speranza, ma accade un’unica inaspettata eccezione: Gastone Moschin. Nel ‘cinema delle stanze vuote’, nelle pellicole dell’abulia, ricorre un elemento che cristallizza l’inclinazione allo scoramento vitale: la figura del folle.

In Signore&Signori sopravviene un’improvvisa alterazione al piattume meschino dell’umanità. La malinconia passa dal Germi regista al Moschin attore nella rivelazione di un imponente figura, quella del pazzo. Per la moglie, Gastone Moschin, il ragionier Osvaldo Bisigato rappresenta un silente sepolcro imbiancato, nell’affabulazione di tutto il non esaudito del quale è investito. Il ragioniere al contrario è il triste innocente che la macchina da presa immortala nella lettura de Le affinità elettive di Johann Wolfgang Goethe.

Il ragioniere non è il ragioniere. Il ragioniere non è pre­disposto a calcoli e previsioni. Il ragioniere è in preda a una malinconia dell’assenza che lo rende inquieto sino all’insania, moralmente inaccettabile, di una passione d’amore fuori dal matrimonio. Il ragioniere è la creatura nuda, il fanciullo che riscopre l’innocenza nell’ardore per una perturbante creatura: la cassiera Milena in tutta la bellezza di una giovane Virna Lisi. Il ragioniere è l’urlo sopra la folla degli abietti. È l’interruzione del tempo infingardo nella genuinità di una goffa e rocambolesca fuga d’amore. È la voce del Domenico di Tarkovskij che dall’opera Nostalghia sulle scale del Campidoglio urla un’ode.

 

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