Amazon continua a conseguire risultati economici e patrimoniali di assoluto valore, sebbene in un periodo congiunturale di grave crisi e di feroce contrazione dei consumi. Ma tutto ciò non si traduce in migliori condizioni salariali e di lavoro per i suoi dipendenti di Piacenza. Questo è quanto contestano i sindacati, pronti allo sciopero anche in giornate importanti per i consumi, come quella del Black Friday.

«Prima di annunciare agli organi di stampa questo sciopero, abbiamo avuto modo di dialogare e scontrarci più volte con Amazon. Dal punto di vista dell’UGL, oltre alle questioni pratiche, importantissime, ve ne sono altre di carattere culturale, altrettanto rilevanti che, come sindacato, vogliamo porre all’attenzione di tutti. Gli italiani devo sapere che quotidianamente fronteggiamo una multinazionale che crede di vivere in regime di extraterritorialità. Quando comunichiamo con loro, ci obiettano che vengono dagli Stati Uniti, quasi a segnare una frattura non ricomponibile. Anche una banale rivendicazione o la normale logica di confronto con i sindacati, crea loro difficoltà».

A parlare è Pino De Rosa, uno dei leader dell’Ugl, segretario regionale Emilia Romagna per il Terziario, a cui innanzitutto chiediamo cosa può significare, in termini di dialettica sindacale, questo continuo rimarcare il fatto di essere statunitensi?

Vuol dire che si sono invertiti i termini della questione: una volta era l’azienda che doveva conformarsi a quelle che erano le concezioni del lavoro del posto dove si insediavano gli stabilimenti. Adesso, a loro dire, dovrebbe essere il territorio, ad adeguarsi alle logiche della multinazionale.

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Oltre a rivendicazioni contrattualistiche, c’è dunque dell’altro?

Certamente. Leggo, in queste ore, su molti giornali che la questione è ridotta al fatto che i dipendenti vogliono più soldi. Richiesta che sarebbe (ed è) lecita in ogni normale contrattazione, ma che in questo contesto per i dirigenti di tale azienda, parebbe cosa fuori dal mondo. Oltre  a ciò, vorrei però sottolineare che, qui, è in gioco il modello di sviluppo per il futuro. Se l’idea è quella di far impiantare sul nostro territorio nazionale, imprese che mettono il capitale, ti danno il minimo sindacale, quello cioè previsto dalla contrattazione, ma poi sono totalmente responsabili della tua vita, allora ci avviamo su una china pericolosa.

Ma dagli organi di stampa viene ribadito che gli stipendi sono nella norma.

I lavoratori sono spesso chiamati a fare straordinari obbligatori, cioè durante i periodi di festività o considerati di ‘picco’. E passano dalle 40 alle 48ore settimanali, regolarmente retribuiti con qualche maggiorazione prevista.

E allora?

Le faccio un solo esempio. Tutti i periodi delle feste devono lavorare sei giorni su sette a ritmi massacranti e, così accade anche per quelli impiegati per ‘il notturno’, per il quale non si tratta più solo di 5 giorni lavorativi e due di riposo, come avveniva in passato. Infatti, con una recente modifica, si è ora passati a turni notturni di sei giorni su sette e a orari incrementati a sei ore e mezza. Questo significa che se lavori in Amazon hai un giorno di riposo a settimana con una identica turnazione che può durare ininterrottamente per mesi. Tutto ciò a scapito della vita familiare e sociale che deve completamente soggiacere ai ritmi dell’economia.

Quindi non solo un problema di turnazione e di stipendi ma proprio di modello industriale?

Certo, e se anche restassimo al loro ‘gioco, mi verrebbe da chiedere: se un’azienda incrementa di continuo i profitti …e li incrementa grazie ai turni e alle ore di lavoro dei suoi dipendenti, per quale motivo questi dovrebbero accontentarsi del minimo contrattuale e, invece, non poter auspicare ad aumenti di stipendio come avviene in ogni altro contesto italiano? Al contrario, sappiamo che, in un periodo di crisi come quello attuale, la contrattazione tende verso il basso. E anche nelle multinazionali sta passando la logica dei raffronti con chi sta peggio, con chi è senza lavoro. E perciò fanno passare l’idea che bisogna accontentarsi di ciò che passa il convento e quindi è inutile tentare di modificare in meglio l’esistente.

Anche in Amazon?

Amazon non concepisce alcun equilibrio nel rapporto lavoro-vita personale. Sopra ogni cosa viene il profitto e ogni singolo dipendente deve totalmente adeguare la sua vita all’azienda. Dopodiché, se uno di essi ha una esigenza: 1)va dal dirigente; 2) gliela sottopone; 3) la motiva; 4)  la giustifica; 5)  porta certificazioni varie; e forse, alla fine, …se è fortunato da trovarne uno dal buon cuore, gli potrebbe pure essere concesso qualcosa.

Concedere è un termine forte.

Infatti non lo uso a sproposito. Concedere è il termine esatto. Vengono fatte delle ‘concessioni’.

In definitiva, la posizione dei sindacati sembra essere sul merito e sul metodo. Sui contratti, sugli orari, ma anche sulle prospettive di carattere generale.

Queste multinazionali non tengono in considerazione le esigenze delle persone, delle famiglie, l’importanza delle relazioni sociali. La ‘questione Amazon’ può essere un punto di svolta per l’Italia intera. Dobbiamo chiederci cosa vogliamo fare del nostro futuro. Vogliamo un modello di sviluppo in cui chi fa impresa, si organizza e sottopone ogni singola persona alle logiche di produzione? Oppure, ne vogliamo uno che preveda anche una funzione sociale dell’economia. Perché i rapporti di lavoro non possono funzionare nei termini decisi solo dalle multinazionali che si organizzano come meglio credono, ritenendo il singolo lavoratore un’appendice. Nessuno di noi vuole fermare la modernità che avanza, ma una realtà come Amazon, già ha fatto man bassa dei concorrenti. Oramai, ha escluso dal territorio il negoziante che vende libri o articoli elettronici il quale non può e non potrà mai avere la stessa pervasività di una grande azienda. Sarà infatti destinato a chiudere perché non può tenere aperta la propria attività per 24ore, tutti i giorni, per 365 l’anno, dovendo far poi coincidere l’esigenze di vita con la sua attività di impresa. Amazon, di queste ricadute sociali, non tiene in alcun conto. Non si relaziona col territorio in cui opera. Potrebbe, però, almeno farlo coi suoi dipendenti. Per esempio, quando i suoi utili schizzano alle stelle, potrebbe ridistribuirne una minima parte attraverso degli incrementi più consistenti di stipendio. Qui invece vengono penalizzati sia il dipendente che non vede premiato il proprio lavoro che il piccolo commerciante il quale, pur pagando tutte le tasse, a differenza degli altri, è costretto a chiudere. Perché, anche questo va detto, Amazon, come Google e altre aziende di quel tipo, in Italia hanno trovato il sistema di pagarle un po’ meno.

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