Roberto Saviano ritorna con ossessiva periodicità sulle sue letture ‘destriste’. Talvolta lo fa perché tirato in ballo, altre volte per un malcelato intento ecumenico, e forse per mostrarsi super partes o sbarazzarsi della grigia nuance del cronista di fatti truculenti e criminosi e quindi riproporsi con ammalianti lineamenti da scrittore a tutto tondo.

Lo aveva fatto anni fa quando rivelò di amare Ernst Jünger, Ezra Pound, Louis-Ferdinand Céline e Carl Schmitt, aggiungendo che aveva «sempre fatto riferimento alla tradizione che fu della destra antimafia in cui si riconosceva Paolo Borsellino». E già da queste prime avvisaglie avremmo dovuto intendere la astrusa parabola esegetica. Partire da Jünger per arrivare all’antimafia, infilandoci capziosamente il Borsellino di destra, o magari il Ciancimino di turno, è salto mortale abbastanza temerario, anche se ne intuiscono talune indirette e acrobatiche connessioni.

In queste ore ha ribadito tali preferenze ammettendo di essere sempre lettore di Evola e Jünger: «La mia è una formazione lontana dagli steccati ideologici perché, parafrasando un vecchio poeta, chi compra un libro compra una casa: l’ariosità, la cupezza, i colori o l’assenza di colori, tutto lo decide chi ci vive. Ho abitato e continuo ad abitare autori che sono stati considerati nemici di qualsiasi pensiero progressista, da Henry de Montherlant a Emil Cioran che è lì a puntellare la mia malinconia, ma di Cioran certo non condivido la stima per Codreanu, il ridicolo miliziano romeno di cui era sostenitore».

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E pur tuttavia, se ha ragione su alcune premesse di carattere generale, ha invece torto su tutto il resto. Non ha tutti i torti quando dice che «il mondo che si appella a questi pensatori a volte mi sembra assai modesto, con l’obiettivo ridicolo di ottenere consenso nella più disonorevole delle battaglie e cioè attaccando gli immigrati che non hanno la possibilità di difendersi». Trarre da battaglie politiche contingenti utili connessioni con il tal poeta o filosofo è operazione ardita e che, il più delle volte, non sortisce alcun effetto politico pratico. E infatti non neghiamo che, spesso, questi autori vengano citati a caso o riproposti come santini del proprio ipotetico albero genealogico. Ma capita a destra così come a sinistra. Quante volte sul tema dell’accoglienza e dell’integrazione si sentono paternali vomitevoli e al limite ..esse sì, della tolleranza e del buon gusto? E se ne sentono sopratutto a sinistra mentre a destra sembrano limitate nel numero e nella misura.

Saviano si infila, però, in un vicolo cieco quando dice che questa riluttanza nell’accettare le sue preferenze letterarie sarebbe dovuta al fatto che, a destra, si è fermi agli anni Settanta. Vale a dire, fermi a quella lettura della realtà fondata sul dozzinale dualismo che Giorgio Gaber immortalò in una sua nota canzone (Destra-Sinistra) dove di ‘destra’ era chi utilizzava la vasca da bagno e invece di ‘sinistra’ la doccia, e così via. Questo grossolano manicheismo sarà forse patrimonio di singoli individui. Non così, invece, per la quasi totalità degli italiani che ad esso non crede più da tempo.

E non può essere ripreso integralmente quando si va poi a decifrare e sintetizzare le opere dei singoli autori di cui fa riferimento e che, invece, multiformi o articolate, propongono da qualunque prospettiva le si legga, una visione generale sempre ascrivibile ad un preciso mondo culturale. Non ad un partito o ad una storia politica ma ad un mondo culturale che è ben altra cosa, più magmatica e meno rigida, e sopratutto lontanissima da Roberto Saviano.

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E dunque egli ha sbagliato quando a sostegno di queste tesi ha riportato a mo’ di esempio l’antica e stantia diatriba su Tolkien. Perché qui non si tratta di ridurre il mondo, l’antropologia e le idee alla suddivisione gaberiana di cui si diceva prima. Pound è ovviamente poeta che appartiene al mondo e sarebbe da stupidi costringerlo nella definizione di ‘poeta di destra’. Lo stesso vale per Celine. Ognuno, tuttavia, ha vissuto delle temperie che ne hanno formato il carattere e ne hanno ancor di più marchiato le opere indirizzandole in un verso o nell’altro. Dunque, Saviano compie un errore madornale e mente sapendo di mentire quando, per esempio, dice che è sciocco chi vuole tirare per il bavero Tolkien o chiunque altro. Perché se pare scontato a tutti il ritenere Celine o Pound dei ‘grandissimi’ senza alcuna ulteriore bandierina da apporre sul loro petto ed è altrettanto scontato rifiutarsi di circoscrivere la vicenda Tolkien ai Campi Hobbit della gioventù di destra degli anni settanta, va pure detto che, il filologo inglese, per sua stessa ammissione, si definiva un cattolico, un monarchico e un conservatore. E se Il Signore degli anelli lo ha consacrato come un ‘grande’ della letteratura del Novecento …comunque da quella ammissione non si scappa: egli rimane un cattolico, un conservatore e un monarchico, la cui opera non può che essere diretta o indiretta derivazione di questi suoi ideali e valori.

Vi possono perciò essere mille letture, tutte plausibili, ma restano centrali (ed ognuno di noi ne deve tener conto senza infingimenti) la vita, le scelte e la formazione dell’autore che vanno ad incidere sulla esegesi dell’opera.

Lo stesso vale per Celine di cui Saviano fa una doverosa cernita tra Bagatelle per un massacro che dice di odiare e capolavori come Morte a credito o Viaggio al termine della notte. Vale per Evola dalla cui bibliografia espunge Sintesi della dottrina della razza mentre dice di apprezzare i testi mistico-filosofici più importanti come Teoria e Fenomenologia dell’individuo assoluto o Metafisica del sesso. O ancora per «Drieu La Rochelle uno degli scrittori che meglio ha tratteggiato la disperazione del sentimento borghese, il contrasto tra la sordida quotidianità e l’aspirazione all’assoluto» e di cui invece disprezza le posizioni sulla Repubblica di Vichy.

Comprensibile che egli condanni uno scritto razzista o cose di questo genere ma nonostante le evoluzioni, le maturazioni, le tragedie personali e collettive questi pensatori hanno rappresentato un modo di intendere l’evo moderno molto lontano, se non proprio opposto, agli effluvi progressisti di cui si nutre Saviano.

Ed è perciò banale dire che ognuno di noi debba leggere di tutto, così come ancor più banale è sottolineare il fatto che di ogni autore si possa riconoscere il capolavoro, lo scritto riuscito meno bene, quello su cui si condivide poco o nulla. Perché dopo tutto ciò …dopo la cernita, le differenziazioni, le pur utili distinzioni tra un saggio politico mal riuscito e un romanzo famoso, resta l’humus di fondo. Tranne casi come quelli di Thomas Mann il quale, nel corso del tempo, cambiò radicalmente posizione, gli autori citati da Saviano hanno mantenuto intatta una visione antimoderna.

Sono naturaliter degli antiprogressisti. Hanno assestato il loro pensiero portandolo su percorsi diversi da quelli iniziali ma la linea tendenziale di fondo è restata sempre la stessa: una radicale critica alla modernità.

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