La recente crisi siriana con l’operazione militare degli Stati Uniti, e il supporto di Francia e Regno Unito, rappresenta dopo anni di combattimenti, una decisa presa di posizione politica di quei Paesi ma, più o meno indirettamente, un obbligo di corresponsabilità dei vari alleati, in vicende che fino ad ora avevano lambito e non penetrato in profondità le società occidentali. Una corresponsabilità a dispetto di scelte tattiche che potevano essere diverse e meno cruenti.

Ancora una volta, infatti, l’irruenza americana, oltre ogni parametro di legalità internazionale ma sorretta dalle accuse (ancora non provate) di gas utilizzati dal regime di Bashar Assad, ha imposto scelte definitive, nette e coraggiose a tutti gli storici alleati atlantici che, forse, in questo specifico caso, avrebbero voluto ‘far parlare’ la diplomazia e mettere da parte le bombe. Il rischio in scenari già di loro complessi è quello di esacerbare i conflitti esistenti e fomentarne altri agendo attraverso una impulsiva attività che non tiene mai conto del lungo periodo e di articolati fattori interagenti.

Le conseguenze le registreremo, perciò, nelle prossime settimane, se non proprio nei prossimi mesi. Conseguenze non solo in termini politici quando andremo a valutare la compattezza della coalizione atlantica o le fenditure che, sin da ora, pur si avvertono, ma le ricadute in termini di alleanze e di nuove inimicizie in scenari geopolitici dove un ruolo di primo piano lo detengono nazioni non proprio marginali come la Russia, la Turchia, la Siria, l’Iran e di correlato anche la Cina.

A renderci ancor più complicato il tutto è il reiterarsi, in questi non facili giorni, di molte analisi che si compenetrano le une alle altre, come in un vertiginoso gioco di scatole cinesi, non raramente svelando certa approssimazione e superficialità in un campo, quello della politica estera e del rapporto tra Stati, che imporrebbe maggiore cautela, studio minuzioso financo dei particolari etnici e di costume di ogni singolo popolo e conoscenza storica appropriata.

Ecco perché, per non cadere nella trappola di analisi superficiali e perentori giudizi, vale sempre la pena di approfondire temi che paiono a distanza siderale dalla nostra quotidianità.

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Ho letto di recente un bel libro di Salvatore Santangelo, Gerussia. L’orizzonte infranto della geopolitica europea (Castelvecchi editore, p. 180) che tocca solo di correlato lo specifico caso siriano mentre, invece, approfondisce la relazione storica, economica, culturale e diplomatica tra la Russia e la Germania, traendone conclusioni interessanti. Un testo che solletica l’interesse innanzitutto perché va ad impattare un particolare deficit delle odierne analisi, legate ad una cronistoria di eventi recentissimi, spesso connesse a motivazioni di tipo esclusivamente economico o appiattite sui più o meno saldi legami personali tra i vari leader.

Nel caso specifico il libro svela la connessione intima che può sussistere tra i due Stati e quanto essa possa far generare nuove connessioni. Una ricostruzione delle personalità dei due capi, Angela Merkel e Vladimir Putin, di quelli più lontani del tempo, ma anche una ricognizione delle vicende storiche che hanno visto entrambi i paesi l’uno a fianco all’altro, oppure di fronte, come nella Seconda guerra mondiale ma che, comunque, a detta di Santangelo, sarebbero destinati ad incontrarsi per tutta una serie di ragioni.

Convincimento che scaturisce dalle molteplici relazioni che vengono singolarmente analizzate nel libro. Le storie di questi paesi si sono incrociate spesso, nel bene e nel male, e ciò non è un dettaglio secondario perché tale fatto ha lasciato stratificazioni evidenti. L’unificazione tedesca del 1870 con la mancata opposizione di San Pietroburgo e poi il ruolo di Berlino nell’ascesa al potere dei bolscevichi, fino al riavvicinamento di Rapallo (1922), l’Ostpolitik di Brandt, fino ai contatti diplomatici e alle relazioni recenti tra Putin e la Merkel, sono tutti elementi segnalati e che vanno distintamente valutati. Ovviamente, un percorso segnato anche dall’invasione nazista e da altre vicende non proprio trascurabili anche se i riscontri, le analisi, le connessioni contemporanee più che le differenze rivelano la possibilità di un alleanza di tipo strategico.

Gerussia è un neologismo che preannuncia tutto ciò. Nacque nel Centro studi della Duma – il parlamento russo – all’inizio degli anni Novanta, nel momento in cui la potenza sovietica si stava dissolvendo e si prospettava, tra le tante, una relazione privilegiata tra le due nazioni. Ovvio che, come viene puntualmente riportato nel volume, in mezzo vanno poste anche le storie di quelle che Timothy Snyder ha definito “le terre insanguinate”, vale a dire «quegli Stati (Polonia, Bielorussia, Moldavia, Ucraina e le Repubbliche che si affacciano sul Baltico) che, negli anni Trenta e Quaranta, sono stati ‘violentati’ dalla furia dal totalitarismo sovietico e da quello nazionalsocialista» e che, dunque, pensare ad un assetto di alleanza che non preveda quelle terre o che ne circoscriva il raggio d’azione pare pressoché impossibile.

Non a caso viene ribadito proprio da Santangelo che «la nascita e il rafforzarsi di questa speciale relazione suscita più di una preoccupazione, specie in quei Paesi che si trovano sulla direttrice geopolitica che lega Berlino e Mosca. Per esempio, a Varsavia e a Vilnius si è parlato del gasdotto Nord Stream (e dell’ipotesi del suo raddoppio) come di una riedizione del Patto Molotov-Ribbentrop. Ci aiuteranno la ‘teoria del bilanciamento’ e quella della ‘circolazione ciclica del potere’, applicate su scala regionale e mondiale, con la consapevolezza che la convergenza tra Berlino e Mosca avrà anche un poderoso impatto sulle principali dinamiche globali». Perché il punto è sempre quello, vale a dire «la storia antica ci aiuta a ricordare chi siamo, quella contemporanea a non dimenticarlo».

Vale anche per la Siria, e per ciò che stavamo dicendo all’inizio. Se si leggono gli scenari attuali senza tener conto di quanto accaduto nel passato si rischia di non venirne mai a capo. Certo, una futuribile intesa tra Germania e Russia passa attraverso una soluzione di mediazione e di diplomazia che tenga conto di tutti i territori e le culture che si sono trovati in mezzo, sballottati tra le due potenze: «Se l’integrazione tra Russia e Germania – scrive Santangelo – non sarà semplicemente un progetto egemonico costruito su freddi calcoli che prendono in considerazione solo vantaggi o svantaggi economici, ma un processo che tende la mano a chi più ha sofferto a causa dei russi e dei tedeschi, e quindi se saprà nutrirsi, magari rinvigorendolo, dello stesso spirito che ha animato i padri fondatori che vollero edificare la Casa comune sulle macerie fumanti della guerra civile tra europei, forse, finalmente, gli spettri e gli orrori di questa geografia insanguinata potranno essere esorcizzati».

Lo stesso potrebbe valere in Siria se non si riconoscono le ragioni di tutti, o almeno se non si ricomprendano in uno scenario condiviso di lungo periodo, attraverso una profonda opera di ricucitura. In fondo, la diplomazia serve proprio a rendere conciliabile l’inconciliabile. Altrimenti a parlare sarebbero sempre e solo le bombe.

 

 

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