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Julius Evola è uno dei pochi pensatori che solleva un composito e violento sbarramento critico tale da far sorgere dubbi sulla qualità e la obiettività degli esegeti. Perché sono sempre tanti, troppi, coloro i quali agiscono sulla sua opera e sulla sua vicenda umana e intellettuale e, come dei chirurghi improvvisati, riescono a tranciare di netto teorie e posizionamenti, allusioni e profonde speculazioni culturali.

In non rari casi, contribuiscono a rendere ancor più fitta la lettura della filosofia evoliana talune brume del suo pensiero connesse, peraltro, a certa approssimazione e ad alcuni richiami che periodicamente vengono fatti da critici improvvisati o, peggio ancora, da laudatores di vecchia e nuova generazione i quali non riescono mai a recingere il loro campo d’azione negli angusti e necessari spazi di una corretta analisi.

Poche certezze si hanno nell’approccio ad ogni nuova pubblicazione e, almeno dal punto di vista personale, faccio sempre più fatica a correre dietro ad una pubblicistica che si è espansa in maniera imbarazzante. Si trovano riferimenti ad Evola in qualunque saggio che affronti le più varie tematiche ma soprattutto si inserisce la sua filosofia anche nel più melenso articolo, a mo’ di una foglia di prezzemolo adatta a condire qualsiasi pietanza. Ecco, allora, che soffermarsi su qualche nuovo scritto significa fare la tara di molte cose proprio per mettersi al riparo da faciloneria e approssimazione.

Ci sono, tuttavia, pochissimi casi in cui ci si può abbandonare alla lettura senza il rischio di cadere in uno dei pericoli poc’anzi citati… ed uno di quelli è rappresentato dall’intervento, dalla curatela o dalla partecipazione diretta o indiretta di Gianfranco de Turris il quale, oltre ad aver scritto su mille altre cose, può essere a ben ragione considerato una garanzia di affidabilità sul pensiero di Evola. Si possono anche nel suo caso confutare o meno talune tesi ma permane la certezza di essere di fronte ad un lavoro sofisticato e scientifico.

Questa volta, però, ci sorprende e manda in libreria, proprio con la ricorrenza del 120° anniversario della nascita, l’antologia Il barone immaginario. Diciotto racconti con protagonista Julius Evola (Mursia, p.285, euro 19) in cui coordina un prodotto editoriale fuori dall’ordinario, nel senso che ci troviamo di fronte allo stesso tempo ad un ‘non-romanzo’ e ad un ‘non-saggio’.

Storie inventate, altre che navigano tra finzione e realtà in un caleidoscopio di intrighi e aneddoti che solleticheranno di certo la fantasia del lettore il quale potrà perdersi attraverso incontri straordinari come quelli con Sibilla Aleramo, René Guénon o l’esoterista Karl Maria Wiligut. D’altra parte, come rileva lo stesso De Turris, la vita di Evola sembra essa stessa la trasposizione di un romanzo. Egli fu artista e filosofo, esoterista, orientalista, giornalista, alpinista e mille altre cose. E forse il motivo recondito che ha spinto tutti coloro i quali hanno partecipato a questa avventura editoriale è stato proprio quello di «evocare l’Evola personale, il ‘personaggio’ celato nella mente e nel cuore di ognuno». Perché nonostante la mole di saggistica che si possa aver letto, di fronte a personalità dirompenti e di questa statura, non c’è dubbio che ognuno costruisca una figura immaginaria, magari diversa di poco, eppure non totalmente sovrapponibile a quella di un altro lettore. Dei ‘grandi’ ognuno possiede un personale ricordo e attraverso di esso ricostruisce una originale ed esclusiva biografia umana e intellettuale.

Nella introduzione, De Turris si dice preoccupato del fatto che molti possano accogliere tale ‘operazione editoriale’ non solo con sufficienza ma catalogandola all’interno del variegato mondo dei volumetti il cui titolo fa da richiamo commerciale e lo scorrere delle pagine rivela «una scempiaggine delirante». In realtà, il fatto che questa figura susciti ancora oggi divisioni e contrasti profondi, e anche la seppur minima rivisitazione sia foriera di ulteriori accuse e lacerazioni, dovrebbe mettere in allarme chiunque. Tuttavia fascinosità e mistero come quelli che avvolgono Evola non possono che richiamare l’attenzione anche di coloro i quali, essendo entrati in contatto con lui per motivazioni di studio e perciò scientifiche, ne hanno colto sensazioni disparate e hanno tentato di riversare su carta una propria personale idea.

Ovvio, ed è bene ribadirlo, che trattasi di opere di narrativa, vale a dire di pura finzione che si dipana partendo però da una premessa comune: tutti sono conoscitori di Evola, delle sue teorie, del suo ambiente, della sua filosofia politica. Questo dato è ancor più vero se si sottolinea la particolarità per una opera di narrativa in cui, addirittura, si citano le fonti documentarie come capita ne Il guardiano del Lyskamm di Marco Cimmino, L’antro della Sibilla di Mario Bernardi Guardi, Le cattedrali filosofali di Manlio Triggiani, L’ultima vetta di Mariano Bizzarri o Il Fuoco invisibile di Andrea Scarabelli su cui vale la pena soffermarci un attimo, anche per dare il segno della «provocazione» e della costruzione in cui si muove l’intera opera.

Egli narra di un incontro tra Evola e Jünger di cui, appunto, ne ricama in maniera documentale le prove. Il Barone e l’Anarca «s’incontrarono» e Scarabelli si dice convinto che «il loro incontro sia avvenuto proprio in occasione del viaggio compiuto da Jünger fra il 23 marzo e il 31 maggio 1968 nella capitale, viaggio documentato nei suoi monumentali Siebzig Verweht, purtroppo ancora inediti in lingua italiana. Il resoconto è contenuto nel primo dei cinque volumi che raccoglie le annotazioni composte tra il 1965 e il 1968 (Klett-Clotta, Stuttgart 1980). A Roma Jünger prese appunti quotidianamente, stimolato da un Paese che amava come nessun altro. Tuttavia, curiosamente mancano all’appello cinque pagine del suo diario, datate rispettivamente 22 e 28 marzo, 7 aprile, 10 e 27 maggio».

Il resto del libro si muove su identiche coordinate. Il mistero fa il paio all’invenzione letteraria, i fatti storici alla pura fantasia e alla costruzione personale del singolo. Un libro che richiama la curiosità anche per chi non è mai stato un ‘intimo’ lettore di Evola ma che ora, attraverso questa diversificata visione prospettica, potrebbe accedere al suo mondo.

 

 

 

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